Dante: l’Alighieri di Avati

Dante è un progetto che il bolognese classe 1938 Pupi Avati – reduce dal Lei mi parla ancora grazie al quale ha portato nel 2021 Renato Pozzetto ad essere candidato ai David di Donatello – inseguiva da ben vent’anni e la cui genesi va individuata nelle parole del cineasta stesso: «A farmi intravedere la possibilità di raccontare quell’essere umano ineffabile che fu l’Alighieri è stata la scoperta della missione di Giovanni Boccaccio nel 1350: quella di portare a Ravenna, alla figlia di Dante, una borsa di dieci fiorini per risarcirla del tanto male che i fiorentini avevano fatto a suo padre. La gran parte della mia narrazione la debbo quindi allo stesso Boccaccio, che di Dante fu biografo e appassionato divulgatore».
È infatti nel Settembre del 1350 che, incaricato proprio di portare i dieci fiorini d’oro a Suor Beatrice alias Valeria D’Obici, figlia di Dante Alighieri, morto in esilio ventinove anni addietro, troviamo Sergio Castellitto nei panni di Giovanni Boccaccio. Un incarico che accetta nella convinzione di poter svolgere un’indagine sul poeta che gli permetta di narrarne la vicenda umana e le ingiustizie patite. Poeta che, parallelamente al lungo viaggio boccaccesco, vediamo incarnato da un Alessandro Sperduti opportunamente fornito di naso posticcio; mentre apprendiamo dei suoi ultimi due decenni di vita in continua fuga, cercando ospitalità presso le varie corti, con una condanna al rogo e alla decapitazione inflitta sia a lui che ai figli maschi, fuggiti a loro volta da Firenze.
È su queste due linee narrative che la oltre ora e mezza in costume viene messa in piedi da colui che ci ha regalato, tra gli altri, La casa dalle finestre che ridono e Il signor Diavolo, il quale sembra appunto non dimenticare la sua passione per l’horror nel tirare in ballo anche impressionanti sequenze come quella della visione in cui Beatrice, dalle fattezze della bella Carlotta Gamba, mangia un cuore.
Per non parlare di una certa cupezza generale rafforzata dalla fotografia di Cesare Bastelli; man mano che il citato Boccaccio incontra figure che interagirono con l’Alighieri negli ultimi anni dell’esilio ravennale e che il ricco, valido cast sfodera, nel mucchio, Enrico Lo Verso, Alessandro Haber, Leopoldo Mastelloni, Mariano Rigillo, Eliana Miglio, Gemma Donati ed Erica Blanc. Più un Gianni Cavina alla sua ultima prova sullo schermo prima della scomparsa e al quale, insieme allo scrittore Marco Santagata, al filologo e accademico Emilio Pasquini e al pianista jazz Amedeo Tommasi Dante, come era immaginabile, è dedicato.
Al servizio di un’operazione sicuramente documentata a dovere dal punto di vista storico-filologico e di cui non si può non apprezzare il lodevole svolto nella cura estetica, ma che finisce per risultare un po’ troppo didascalica e per lasciar emergere, a tratti, un certo look da produzione basso costo. Oltre che penalizzata da una voce narrante che non tarda nel rivelarsi piuttosto ammorbante nel lento svolgimento.

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