Con un titolo che fa riferimento al nome della protagonista e che spinge anche a pensare ad una delle principali strade della fascia settentrionale della capitale tricolore, Flaminia segna il debutto dietro alla macchina da presa per la comica e conduttrice televisiva Michela Giraud, che ne è oltretutto l’interprete principale.
Del resto, il personaggio in questione è proprio una ragazza di Roma Nord che, di conseguenza, deve essere sorridente, ossessionata dalla forma fisica e, soprattutto, ricca, o, meglio ancora, arricchita; tanto che la madre Francesca, dal volto di Lucrezia Lante Della Rovere, per guadagnarsi la agognata scalata sociale la spinge a sposare il giovane Alberto incarnato da Edoardo Purgatori e figlio di Jacqueline e dell’importante diplomatico Edoardo, ovvero Nina Soldano e il compianto Andrea Purgatori (padre nella vita reale dell’attore).
Tutto, infatti, procede nell’attesa del giorno del fatidico “Sì”… ma il destino vuole che Ludovica, sorellastra autistica di Flaminia cui concede anima e corpo una convincente Rita Abela, irrompa improvvisamente nella quotidianità della famiglia dopo essere stata tenuta lontana in un’apposita struttura.
Un evento destinato da un lato a portare scompiglio nella preparazione del matrimonio, dall’altro a condurre le due sorelle – il cui papà è il Guido Maria di Antonello Fassari – a rivedere il loro rapporto, tra una gag all’interno di un negozio di abbigliamento e un’altra durante l’esibizione di una ragazzina che canta La notte vola di Lorella Cuccarini.
Ma, mentre Enzo Salvi viene coinvolto nel piccolo ruolo di un ristoratore e un bravo Fabrizio Colica veste i panni del dottor Marini, a cominciare dall’incidente su Lungotevere che apre l’operazione risulta decisamente difficile ridere durante la visione di Flaminia, che azzarda perfino una battuta autoironica di taglio metacinematografico nel momento in cui la Giraud dà della burina a se stessa.
Cosa dovrebbe suscitare risate? La confusione che Ludovica fa tra Madre Teresa di Calcutta e Maria Teresa Ruta? O le numerose volte che viene snocciolato il tutt’altro che elegante termine “fregna”, alla faccia dei poveri Massimo Boldi e Christian De Sica continuamente accusati di eccessiva volgarità ai tempi d’oro dei cinepanettoni Filmauro?
A completare il noioso pasticcio è poi l’eccesso di carne al fuoco testimoniato dal patetico retrogusto drammatico – decisamente fuori luogo – atto ad annoverare i maltrattamenti nei confronti dei disabili e, nella sequenza in cui si tira in ballo l’abito da sposa, una frecciata al body shaming.