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Nosferatu: le ombre del vampiro

Sebbene sia stato più volte precisato dal cineasta statunitense Robert Eggers che il suo Nosferatu – nelle sale cinematografiche italiane dal 1° Gennaio 2025 – non intenda essere un remake del Nosferatu il vampiro diretto nel 1922 da Friedrich Wilhelm Murnau ma vi si ispiri soltanto, è praticamente quasi identica al plot di quel capolavoro della celluloide muta la trama su cui vengono strutturate le oltre due ore e dieci minuti di visione in questione.
Una trama che, nella Germania del 1938, cala Nicholas Hoult nei panni di Thomas Hutter, il quale, marito di Ellen alias Lili-Rose Depp e lavorante per un agente immobiliare, proprio come nella pellicola originale viene inviato sulle montagne della Transilvania, nei Carpazi, per concretizzare la vendita di una tenuta con il Conte Orlok.
Conte che, incarnato da un irriconoscibile Bill Skarsgård non nuovo al genere horror (si pensi solo alla sua clownesca performance nel dittico It da Stephen King), come gli spettatori già sanno è in realtà un vampiro; oltretutto frutto di un libero adattamento che il sopra menzionato Murnau fece del popolare romanzo Dracula, con conseguente causa per violazione dei diritti d’autore allora intentata dalla vedova di Bram Stoker, autore del testo.
E, considerando che nel 2000 prestò ne L’ombra del vampiro di Elias Merhige il volto al fantomatico Max Schreck che impersonò il calvo succhiasangue nel classico murnauiano, non poteva certo mancare il grandissimo Willem Dafoe all’interno del cast; tanto più che Eggers ha già avuto modo di dirigerlo in The lighthouse e The northman.
Un Dafoe impegnato in questo caso ad interpretare il proto-Van Helsing professor Albin Eberhart Von Franz, mentre viene del tutto ignorato il filosofeggiante rifacimento datato 1979 Nosferatu – Il principe della notte di Werner Herzog per aggiornare a colori nel nuovo millennio, invece, quelle che furono le atmosfere espressioniste in bianco e nero del capostipite.
Atmosfere che il regista già cavalcò, in un certo senso, nel citato Lighthouse e che, complice soprattutto il ricorso a spettrali ombre, caratterizzano Nosferatu fin dall’apertura; senza dimenticare, a differenza di ciò che il film del 1922 non poté permettersi, di sfruttare abbondantemente il sonoro al fine di generare tensione e spavento.
Spettrali ombre garantite dalla splendida fotografia di Jarin Blaschke, destinata a caratterizzare l’impeccabile cura riservata alle immagini di un’operazione che, in mezzo ad incubi, il folle signor Knock di Simon McBurney in agguato e diffusione della peste con sequenze a base di ratti rientranti senza dubbio tra le migliori, avanza piuttosto lentamente come da tradizione eggersiana.
Tanto che qualche minuto in meno avrebbe probabilmente giovato in maniera ulteriore a questo Nosferatu… che, in ogni caso, non lascia affatto delusi i fan del regista di The witch, rivelandosi, anzi, forse la sua opera più riuscita.