Nelle sale cinematografiche a partire dal 24 Ottobre 2024, Parthenope non è solo il titolo del secondo tassello – dopo È stata la mano di Dio, datato 2021 – di una ideale trilogia che il regista Paolo Sorrentino intende dedicare alla sua Napoli, ma anche il nome che viene dato ad una bambina che vediamo venire al mondo, nel 1950, immediatamente ad inizio film.
Bambina che assume da ragazza i connotati di Celeste Dalla Porta e che, come è facilmente intuibile, altro non è che l’incarnazione del capoluogo campano, all’insegna di un’epopea femminile guidata soprattutto dal desiderio di libertà.
Un’epopea che, dal 1975 al 1982, fino ad arrivare ai giorni nostri, con la protagonista settantenne che assume le fattezze di Stefania Sandrelli, passa in primis per la giovinezza senza pensieri a Capri, arrivando fino al 2023 dei cortei per lo scudetto calcistico; man mano che, tra un calvo Biagio Izzo e un Silvio Orlando professore di antropologia, il cast si rivela non poco ricco.
Infatti, se da un lato abbiamo Gary Oldman nei panni di uno scrittore americano coinvolto in uno dei momenti maggiormente soporiferi dell’insieme, dall’altro troviamo Luisa Ranieri che, invece, nel ruolo di una diva del cinema (chiaramente loreniana) che disconosce Napoli, ci regala quello migliore.
La Napoli in cui ci si chiede se c’è posto per tutto; mentre viene osservato che gli amori giovanili sono serviti a regalarci l’illusione della spensieratezza e che, come di consueto, non mancano le bizzarrie sorrentiniane: dall’incontro con un’insegnante di recitazione dal volto coperto resa da Isabella Ferrari ad un’inaspettata divagazione quasi horror posta nella fase conclusiva di Parthenope.
Del resto, non è assente neppure il tentativo di entrare nel mondo del cinema nel corso delle quasi due ore e venti di visione atte a giocare continuamente ed efficacemente di erotismo grazie all’indubbia qualità estetica della Dalla Porta, cui viene anche detto che la bellezza è come la guerra, in quanto spalanca le porte.
E, con Era già tutto previsto di Riccardo Cocciante a fare da brano di spicco all’interno della colonna sonora, c’è anche il tempo di tirare in ballo il colera e la camorra; oltre ad un Peppe Lanzetta calato in abito talare per mostrare alla ragazza il miracolo di San Gennaro, mai stabilito se mistero o truffa.
Ma, suggerendo, inoltre, che l’amore è per provare a sopravvivere, al di là delle splendide immagini garantite dall’apporto della fotografia a cura di Daria D’Antonio Parthenope non può fare a meno di rivelarsi un freddo, piatto e noioso agglomerato in fotogrammi che, nel lasciare sullo sfondo troppi interrogativi privi di risposta (uno su tutti: c’è un incesto?), viene tirato eccessivamente per le lunghe rimanendo sul piano della metafora destinata a non far comprendere più di tanto l’effettivo senso dell’operazione.