Presentata in anteprima mondiale alla settantaquattresima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, divisa in sei puntate verrà trasmessa da Sky nel Settembre 2024, ma, anticipatamente, è in due parti che sarà disponibile nelle sale dall’11 al 17 Luglio Dostoevskij, prima serie televisiva realizzata da Fabio e Damiano D’Innocenzo.
Serie noir girata in pellicola per rievocare in maniera chiara – con tanto di spuntinature – la qualità d’immagine di un tempo e che nel suo primo atto ci porta immediatamente a conoscenza del brillante detective Enzo Vitello, il quale, in possesso delle fattezze dell’ottimo Filippo Timi, è ossessionato dal misterioso serial killer suggerito dal titolo.
Serial killer la cui peculiarità consiste nel lasciare sempre accanto al corpo delle sue vittime una lettera riportante la propria desolante e chiarissima visione del mondo, della vita e dell’oscurità che il protagonista stesso, oltretutto alle prese con il complicato rapporto che lo lega alla problematica figlia Ambra alias Carlotta Gamba, sente risuonare al suo interno.
Protagonista di cui, tra l’altro, apprendiamo inquietanti retroscena nel corso del secondo atto, leggermente più movimentato e ricco di situazioni che suscitano interesse rispetto al primo, costituito da circa due ore e mezza totali per lo più improntate sulla presentazione della storia e dei personaggi, compreso il poliziotto Fabio Buonocore di Gabriel Montesi.
Due atti che avanzano comunque lenti come da sempre ci hanno abituati i due giovani autori di Favolacce, i quali, tirando progressivamente in ballo altre figure quali l’Antonio Bernardini di Federico Vanni e il Mimmo Ambrosoli di Romano Talevi, mantengono fede alle loro tematiche preferite inscenando ancora una volta lo squallore di un’umanità che, con abbondanza di abitazioni fatiscenti, di umano ha ben poco (o niente).
Dunque, supportati dai toni cupissimi della fotografia per mano di Matteo Cocco, sulla falsariga del loro America Latina concretizzano in fotogrammi un non luogo d’ambientazione, una scenografia geograficamente inclassificabile in cui a regnare è la desolazione.
Una scenografia che conferisce quasi un retrogusto western a Dostoevskij, curatissimo visivamente e nei dettagli e dispensatore di momenti caratterizzati da una violenza tale da fargli sfiorare i connotati dell’horror… mentre ci porta contemporaneamente a chiederci, però, per quale motivo i due fratelli romani non abbandonino determinate inutili lungaggini “autoriali” al fine di concentrarsi più sul genere puro (che saprebbero tranquillamente affrontare), considerando che anche in questo caso – come avvenuto nel già citato America Latina – l’impressione sia quella di trovarsi dinanzi ad un esile soggetto dilatato oltremisura.