Nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 4 Luglio 2024, potrebbe inizialmente lasciar pensare ad una variante del plot che quindici anni prima fu alla base del Vendicami diretto dall’hongkonghese Johnnie To La memoria dell’assassino, seconda prova registica per l’attore Michael Keaton dopo The merry gentleman.
Del resto, in maniera analoga a quanto accadeva in quel lungometraggio interpretato nel 2009 da Johnny Hallyday, è una vicenda criminale che pone al proprio centro la tematica della perdita della memoria quella che fa da perno alla oltre ora e cinquanta di visione in questione.
Perdita della memoria che si verifica qui in maniera piuttosto rapida nel sicario John Knox, al quale viene diagnosticata una malattia irreversibile e che finisce per far concludere tragicamente proprio uno dei suoi incarichi lavorativi.
Il John Knox cui presta il volto lo stesso Keaton e che si ritrova presto a dover aiutare il figlio Miles alias James Marsden – con il quale ha rapporti tesi – a cercare di far sparire le prove di un terribile crimine che ha commesso.
È infatti il rapporto tra padre e figlio a spiccare nell’insieme, che da un lato vede John chiedere aiuto al fidato amico Xavier Crane incarnato da Al Pacino e dall’altro tira in ballo le indagini sul suo conto portate avanti dai detective Ikari e Rale, ovvero Suzy Nakamura e John Hoogenakker.
Perché, con la mente del protagonista destinata ad andare in rapido deterioramento, è in fin dei conti un film di indagini inquinato da ricordi non sempre veritieri La memoria dell’assassino, cui la fotografia a cura Marshall Adams conferisce cupi toni da noir facendo spesso calare ombre sui volti dei protagonisti.
Una lotta contro il tempo che, dietro e davanti alla macchina da presa, l’ex Batman di Tim Burton porta in scena privilegiando i dialoghi e costruendo il tutto attraverso una lenta evoluzione narrativa.
Riservando qualche colpo di scena dovuto ad una sceneggiatura a firma di Gregory Poirier forse non sempre chiara e non priva di pecche, con la risultante di un esercizio di stile probabilmente irrilevante, ma che si lascia comunque guardare.