Adagio: Roma criminale parte 3

L’Adagio suggerito dal titolo dell’opera tramite cui Stefano Sollima conclude una propria ideale trilogia della “Roma criminale” iniziata con Romanzo criminale – La serie e proseguita attraverso Suburra è il tempo musicale ideale dei protagonisti delle oltre due ore di visione.
Nelle sale cinematografiche a partire dal 14 Dicembre 2023, un’opera che prende avvio dal momento in cui il giovane Manuel alias Gianmarco Franchini, orfano di madre e che vive insieme all’anziano e malandato padre un tempo conosciuto negli ambienti malavitosi come Daytona, finisce ad un festino in mezzo a sniffate di cocaina e travestiti per poi trovarsi ricattato da carabinieri corrotti guidati dal Vasco incarnato da Adriano Giannini.
Dietro a tutto ciò vi sono ovviamente grosse questioni politiche, quindi, divenuto il giovane uno scomodo testimone, non può fare altro che cercare aiuto tra le vecchie poco raccomandabili conoscenze del genitore, ovvero il Polniuman interpretato da Valerio Mastandrea e il Cammello reduce da dieci anni di prigione più due di manicomio criminale, cui concede anima e corpo un irriconoscibile Pierfrancesco Favino totalmente calvo e, a suo modo, mostruoso.
Un Pierfrancesco Favino che si cimenta senza alcun dubbio in una delle migliori performance della sua carriera, contornato da un cast in stato di grazia che, tra l’altro, nei panni del sopra menzionato Daytona vede l’infallibile Toni Servillo.
Un cast al servizio di una fatica sollimiana meno propensa all’azione – sebbene non assente – e più intimista, tanto da far fortemente emergere la tematica della paternità in mezzo a cadaveri da lasciare a terra e rapporti che legano il carosello di memorabili facce coinvolte.
Mentre, una volta tanto, anziché il cinematograficamente abusato centro storico della capitale sono strade di quartieri neanche troppo periferici quali il Tiburtino, il Casilino e, soprattutto, il Prenestino a fare da funzionali scenografie magnificamente illuminate da Paolo Carnera, capace di renderle tanto soleggiate e calde nelle sequenze diurne quanto simili alle metropoli noir di Michael Mann in quelle notturne.
E, rispetto al pessimismo trasudante dai sopra menzionati due tasselli precedenti di questo ideale trittico, nel suo lento ma altamente coinvolgente incedere Adagio suggerisce anche un certo barlume di speranza, sfruttando oltretutto in qualità di affascinante metafora l’immagine degli uccelli che si elevano in cielo contemporaneamente alla cenere svolazzante di una Città eterna (quella delinquenziale) che prende fuoco sullo sfondo… fino ai titoli di coda accompagnati in maniera indispensabile dalla storica Tutto il resto è noia di Franco Califano.

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