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The Nun II: la (rie)vocazione del male

Con un inizio pirotecnico e un’ultima sorpresina posta durante lo scorrimento dei titoli di coda, The nun II – nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 6 Settembre 2023 – riporta sul grande schermo la demoniaca suora Valak, che, interpretata sotto il mostruoso trucco da Bonnie Aarons, era stata introdotta nel 2016 attraverso The conjuring – Il caso Enfield di James Wan, due anni prima che Corin Hardy la mettesse al centro del suo The nun: La vocazione del male.
La Valak cui, in realtà, viene concesso poco spazio nel corso della circa ora e cinquanta di visione destinata a tirare in ballo anche altre nuove inquietanti figure infernali nell’immergersi nella Francia del 1956; precisamente nel comune di Tarascona, dove, a seguito dell’assassinio di un sacerdote, il male sembra si stia diffondendo.
La Francia in cui ritroviamo anche la suor Irene che, come nel lungometraggio precedente, presenta i connotati di Taissa Farmiga; qui affiancata dalla Debra incarnata da Storm Reid, insieme alla quale sembra quasi suggerire un sottotesto antirazzista relativo all’unione che fa la forza contro le entità malvagie.
Al di là di questo aspetto, l’esile plot non rappresenta altro che l’evidente pretesto per poter continuare a sfruttare l’universo condiviso horror creato dal citato Wan, qui figurante soltanto in qualità di produttore e che affida la regia al Michael Chaves cui si devono il guardabile The conjuring – Per ordine del diavolo e il soporifero la Llorona – Le lacrime del male.
Due titoli decisamente poco memorabili, dunque, ma rispetto ai quali, fortunatamente, The nun II riesce a risultare più riuscito.
Come riesce a risultare più riuscito anche del primo capitolo (non è che ci volesse molto), in quanto, con la Anna Popplewell della trilogia fantasy Le cronache di Narnia inclusa nel cast e infestazioni di blatte atte a sporcare occasionalmente il lodevole lavoro scenografico, il consueto susseguirsi di apparizioni spettrali e jump scare immerso in una cupa atmosfera svolge dignitosamente il proprio compito di fornire intrattenimento da brivido in fotogrammi.
Nulla di particolarmente esaltante, ma, complici sia un certo aumento delle dosi di violenza che una narrazione che privilegia una volta tanto il movimento alle estenuanti attese costruite sulla lentezza, non ci si annoia e possiamo tranquillamente affermare di trovarci dinanzi ad uno dei più spettacolari tasselli del franchise conjuringhiano.

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