In dichiarato omaggio a L’erba del vicino di Joe Dante, è con una tenera dichiarazione di futuro matrimonio tra due bambini che apre Rido perché ti amo, lungometraggio che avrebbe dovuto segnare il ritorno dietro la macchina da presa per Max Croci – regista di Poli opposti e La verità, vi spiego, sull’amore – se non fosse venuto prematuramente a mancare nel Novembre del 2018.
Due bambini che venticinque anni più tardi scopriamo essere Leopoldo e Amanda, ovvero Nicola Nocella e Barbara Venturato: lui pasticcere di fama mondiale che, concentrato su se stesso e proiettato sul lavoro, proprio una settimana prima del giorno della cerimonia nuziale fa scappare lei, la quale ha rinunciato al sogno di diventare ballerina, insegna danza classica e accetta una allettante proposta professionale a Parigi.
Ne consegue che, resosi conto del danno fatto, il primo tenta di riparare intraprendendo una serie di romantiche avventure per mantenere, di giorno in giorno, le promesse che aveva scritto in un quaderno ai tempi della scuola elementare.
Avventure in cui si ritrova affiancato dall’amico Ciro, gestore di videoteca incarnato dallo stesso Paolo Ruffini che, dopo Fuga di cervelli, Tutto molto bello e Ragazzaccio, firma anche la regia di Rido perché ti amo.
Una commedia sentimentale che non manca di infarcire di citazioni cinefile, tra una discussione sulla saga Star wars e la sequenza in cui Leopoldo, in mutande a bordo di una vespa, tende probabilmente a richiamare alla memoria il Massimo Boldi di Yuppies 2.
Una commedia sentimentale cui tenta di conferire una dimensione favolistica testimoniata anche dal fatto che si svolge quasi del tutto in una piazza dove si alternano svariati personaggi, dallo strambo cartolaio Cipriano interpretato da Greg (all’anagrafe Claudio Gregori) alla coppia di anziani baristi Ada e Valentino, impersonati da Lucia Guzzardi e da un Enzo Garinei alla sua ultima apparizione sullo schermo.
Ma, sebbene risultino lodevoli sia le intenzioni che determinate scelte tecniche tutt’altro che banali o disprezzabili (si pensi solo al lungo pianosequenza con conversazione tra Leopoldo e Amanda), Rido perché ti amo sembra paradossalmente rispecchiare proprio una delle affermazioni che vi troviamo all’interno: “Il cinema si forma su un difetto, come l’amore”.
Il problema grosso, però, è che in questo caso il difetto non pare essere uno soltanto, a cominciare da inspiegabili entrate in scena di figure come quella della Sam(antha) cui concede anima e corpo la brava Daphne Scoccia. Per non parlare del Gigi di Herbert Ballerina alias Luigi Luciano, che si palesa occasionalmente senza un vero e proprio motivo, o della Barona di Loretta Goggi, che sfoggia anche un “Che fretta c’era” citando chiaramente il ritornello della sua Maledetta Primavera. Soltanto una delle diverse occasioni che il film sfrutta per tirare in ballo un’ironia innocua che, però, non strappa affatto risate; come anche quando la colf Filippa dice di chiamarsi Filippina (sic!) o il ragazzo affetto da sindrome di Down afferma “Lavoro qui da un po’” (leggasi “Down po’”).
Per il resto, tra un cameo per il Volfango De Biasi regista di Natale col boss e Una famiglia mostruosa e uno per la cantautrice Malika Ayane, il coinvolgimento manca e, in mezzo a pensieri sparsi atti a giocare la carta della poesia (viene anche osservato che nella vita non si scrive a matita ma a penna e che, quindi, non puoi più cancellare), la circa ora e quaranta di visione non si rivela altro che anarchica e confusa… oltre che non poco pretenziosa.
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