È dal funerale di un Lillo Petrolo finito in una doccia di cemento a presa rapida che prende avvio Un matrimonio mostruoso di Volfango De Biasi, che, nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 21 Giugno 2022, altro non è che il sequel di Una famiglia mostruosa, diretto nel 2021 sempre dal regista di Come tu mi vuoi e Un Natale stupefacente.
Il Lillo Petrolo che, in realtà, scopriamo essere vivo e vegeto (ma in scena non lo vediamo mai) in un lontano paradiso fiscale; mentre la consorte Ilaria Spada, ora affiancata da un Ricky Memphis, fratellastro di lui e suo legale, si è ritrovata abbandonata e senza un soldo, sommersa dai debiti.
Una situazione che, avvertita una crisi matrimoniale in corso tra i consuoceri, la porta a sfruttare il momento nel tentativo di convolare a nozze proprio con il vampiro; la cui dolce metà, però, ora dal volto di Paola Minaccioni e non più di quello della citata Ocone, non si dà per vinta ed è determinata a fare di tutto per salvare la secolare unione.
E, se da un lato tornano anche i giovanissimi Sara Ciocca e Vincenzo Sebastiani, quest’ultimo ora tormentato da un dispettoso Mattia Lucentini, dall’altro non manca di essere nuovamente in scena il Paolo Calabresi proto-Lurch che finisce per assumere un look in Drusilla Foer style in seguito ad un piccolo incidente “cervellotico” destinato a mandarlo in crisi d’identità sessuale.
Perché, chiaramente, trovandoci nel politically (s)correct XXI secolo tempestato di gender fluid, unioni gay e confusioni sessuali assortite, non poteva mancare in Un matrimonio mostruoso un chiaro sottotesto d’impronta transex che arriva a coinvolgere perfino un Maurizio Mattioli – qui genitore della Spada – cui spetta l’unica battuta divertente del film (quella sulla Lazio), seppur già sentita altrove.
Un Maurizio Mattioli sprecato quanto la brava Elisa Di Eusanio “buzzicona” e il lodevole lavoro tecnico-scenografico in questo secondo tassello che vede coinvolto anche brevemente Greg (al secolo Claudio Gregori) nei panni del dottor Frankenstein e di cui, dopo un capostipite decisamente più adatto ad una fruizione televisiva che su grande schermo rivelatosi tutt’altro che memorabile, non si sentiva affatto la necessità.
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