È vero che più fai paura agli altri e più in alto arrivi? In uscita nelle sale cinematografiche l’8 Giugno 2023, prova a risponderci Denti da squalo, prodotto, tra gli altri, dal Gabriele Mainetti autore di Lo chiamavano Jeeg robot e Freaks out e che firma inoltre insieme a Michele Braga la efficace colonna sonora del film (edita da Edzioni Curci).
Un film che, a dispetto del titolo, che potrebbe tranquillamente suggerire un plot da eco-vengeance (filone costituito da opere incentrate su animali assassini), sguazza in uno scenario estivo in cui il pescecane non assume altro che una funzione allegorica: simbolo per eccellenza di forza e paura incontrollabili.
Infatti, nel corso della oltre ora e quaranta di visione messa in piedi dall’esordiente Davide Gentile si limita soltanto a starsene nella piscina della villa abbandonata che cattura l’attenzione del tredicenne Walter alias Tiziano Menichelli, preso ad intraprendere il suo vagare apparentemente senza meta sul litorale romano. Villa che sembra incustodita ma che, invece, lo fa imbattere in Carlo, ovvero Stefano Rosci, il quale lo porta a conoscere un tale Tecno e gli racconta di altri soggetti poco raccomandabili, come il Corsaro cui concede anima e corpo Edoardo Pesce.
Corsaro la cui passata vicenda criminale che ha visto coinvolto un certo Barracuda presenta evidenti echi provenienti dal fatto di cronaca nera riguardante il Canaro della Magliana (non a caso, Pesce fu interprete del Dogman ispirato ad esso); mentre Denti da squalo si sviluppa intensificando progressivamente il rapporto di amicizia che si instaura tra i due giovani protagonisti.
Con Walter che, se da un lato ha come madre la Rita incarnata da una Virginia Raffaele calata in un insolito (per lei) ruolo drammatico, dall’altro non manca di intrattenere conversazioni dal sapore onirico insieme al defunto padre Antonio, dal volto di Claudio Santamaria.
Ma, alla fine dei giochi, a quale tipologia di spettatore può interessare un’operazione in fotogrammi come Denti da squalo? Parte da un presupposto horror, ma non rientra affatto nel genere. Suggerisce situazioni da Gomorra romana on the beach, senza mai concretizzarle realmente. Fornisce un’ambientazione da solare avventura adolescenziale estiva proto-Stand by me, ma ne conserva soltanto le scenografie tutt’altro che urbane.
Magnificamente fotografato da Ivan Casalgrandi e popolato da un cast in stato di grazia (a cominciare proprio dai promettenti Menichelli e Rosci), non si riduce ad essere altro che l’ennesimo romanzo di formazione da schermo costruito su lenti ritmi di narrazione e che, di sicuro adatto per lo più a proiezioni festivaliere, è probabilmente destinato ad accaparrarsi più di un premio presso le maggiormente importanti manifestazioni nostrane… ma anche il pubblico (non solo quello intellettuale e radical chic) vuole la sua parte, come pure il botteghino tricolore, sempre più tempestato di produzioni nostrane interessate solo al successo di critica e non ad incrementare i guadagni utili alla crescita di un settore tenuto in vita quasi esclusivamente dai finanziamenti statali.
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