“C’era una volta il crimine”: ritorno al f…ascismo!

Se Non ci resta che il crimine, datato 2019, si rifaceva chiaramente nel titolo a Non ci resta che piangere di Massimo Troisi e Roberto Benigni e il suo sequel Ritorno al crimine – finito nel 2021 direttamente in streaming a causa dell’emergenza da Coronavirus – strizzava in maniera evidente l’occhio a quello di Ritorno al futuro di Robert Zemeckis, è a C’era una volta il West di Sergio Leone che probabilmente si deve l’influenza per la denominazione del terzo tassello della serie diretta da Massimiliano Bruno: C’era una volta il crimine, nelle sale cinematografiche a partire dal 10 Marzo 2022.
Serie che, del resto, nella struttura dei suoi capitoli ha palesemente guardato alla citata saga interpretata da Michael J. Fox, che, non a caso, concludeva le sue avventure proprio in un remoto passato americano rappresentato dall’ambientazione western; in questo caso sostituita, trovandoci in Italia, con il 1943 della Seconda Guerra Mondiale.

Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi in una scena del film

Un 1943 in cui, però, non più affiancati da Alessandro Gassman e Carlo Buccirosso, che apprendiamo essere stati arrestati dopo gli eventi del film precedente, impegnati a cercare di rubare la preziosissima Gioconda ai francesi troviamo soltanto Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi e la new entry Giampaolo Morelli, professore di storia che altro non è che il cugino di Giulia Bevilacqua; la quale, subentrata in Ritorno al crimine, rimane ai giorni nostri in compagnia del sopra menzionato Bruno.
E se Ilenia Pastorelli, che avevamo visto soltanto nel capostipite, è presente esclusivamente in una breve apparizione, anche il boss della Banda della Magliana Edoardo Leo torna in quello che possiamo considerare poco più che un cameo nel corso della circa ora e quaranta di visione.
Circa un’ora e quaranta che, con Carolina Crescentini destinata ad entrare in gioco nei panni della versione giovane della nonna del citato Giallini e la combriccola di improvvisati e goffi viaggiatori nel tempo costretti a cercare di recuperare la mamma bambina dello stesso, finita nelle mani dei nazisti, viene orchestrata attraverso una sequela di sketch spazianti da una sostituzione di re Vittorio Emanuele ad un esilarante utilizzo dell’inno capitolino Grazie Roma di Antonello Venditti.
Fino ad uno scontro a fuoco conclusivo atto a testimoniare, insieme alla ricostruzione storica, il maggiore sforzo produttivo alla base di C’era una volta il crimine rispetto ai due episodi predecessori.
Ma, se da un lato, complice in particolar modo la divertente cafonaggine romanesca gialliniana, le occasioni per sprofondare in risate non mancano e lo spettatore dal palato facile rimane probabilmente soddisfatto dell’acquisto del biglietto, dall’altro è impossibile non avvertire la sensazione che lo script – a firma del regista stesso in collaborazione con Alessandro Aronadio e Renato Sannio – tenda a costruirsi su tante piccole parentesi lasciate aperte e a tracciare la strada per risvolti interessanti che, però, non godono poi di concretizzazione.
Escludendo la piuttosto banale e frettolosa spiegazione della dipartita di Gassman e Buccirosso, basterebbe pensare alla telefonata con Adolf Hitler, al Sandro Pertini di Rolando Ravello e al Benito Mussolini di Duccio Camerini, purtroppo sfruttati meno del minimo indispensabile… ma anche alle due antenate donne di cui sopra, che si sarebbero potute rivelare elementi utili per condurre C’era una volta il crimine ad eventi mirati alla forte e necessaria emozione da fanta-racconto su grande schermo.

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