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Quello di febbraio è un mese intenso per Pierfrancesco Favino, sotto i riflettori con l’imminente avventura nella conduzione del 68° Festival della Canzone Italiana, al fianco di Claudio Baglioni e Michelle Hunziker, ma anche per il film che uscirà il 14, diretto da Gabriele Muccino: A casa tutti bene.
L’attore romano, vincitore di due David di Donatello e tre Nastri d’argento, aveva già lavorato con Muccino ne L’ultimo bacio (2001) e Baciami ancora (2010). Stavolta interpreta Carlo, un personaggio molto delicato, inquieto e insoddisfatto, alle prese con i rancori e le rivalità tra l’attuale moglie Ginevra (Carolina Crescentini) e la ex Elettra (Valeria Solarino).
«Io personalmente Carlo lo conosco, così come ne conosco tanti, inclusa una parte di me, che è Carlo», afferma Pierfrancesco Favino alla presentazione stampa di A casa tutti bene. «Poi parlare del personaggio è sempre complicato, ma penso che questo sia uno dei valori del film: il fatto che in realtà veramente c’è della vita quotidiana qui dentro. Non ci sono supereroi, e sfido chiunque a dirmi che esiste una famiglia funzionale e non disfunzionale».
La famiglia rappresentata in questo film non è altro che uno spaccato della vita reale, o meglio, come sottolinea Favino, un «paradigma di una società. All’interno di questo racconto ci sono tanti specchietti che creano questo mosaico in cui credo tutti potranno scegliere di riflettersi».
Come è stato lavorare in un film con un cast così numeroso ed importante?
Ognuno di noi, anche quando non era al centro di una certa sequenza, era comunque presente ogni giorno sul set, magari solo per un passaggio fugace sullo sfondo, o per pronunciare comunque le sue battute fuori campo a beneficio del collega di turno inquadrato all’interno della propria vicenda. C’era sempre qualche raccordo o disegno da completare, c’era comunque un’inventiva e un processo creativo comune in corso da assecondare. Questo tipo speciale di riprese ha dato tanto al film e ci ha permesso di ritrovarci tutti legati da una relazione complice e profonda.
E con Gabriele Muccino, dopo quindici anni dall’ultima esperienza sul set?
Ci siamo ritrovati più cresciuti ma con la stessa voglia di dare il massimo. Gabriele ama molto girare lunghi piani sequenza che conferiscono una forte teatralità alla presenza in scena di un attore e gli offrono un bel modo di essere impegnato all’interno del processo creativo, lui non si accontenta mai fino a quando non ottiene quello che cerca, non dà mai per buona subito una sequenza ma vuole fare sempre meglio e, per cercare insieme a lui le soluzioni migliori, si è circondato di tante persone che davanti alla sua cinepresa condividevano lo stesso desiderio.
Cosa porti a casa di questa esperienza?
Gabriele ha colto certe dinamiche che appartengono a tutte le famiglie italiane in cui in tanti si riconosceranno; ha saputo riunire una serie di attori che presto si sono ritrovati con la sensazione di conoscersi profondamente da sempre, sia chi era già amico di qualcun altro che i nuovi arrivati. Niente sembrava forzato o fuori luogo. Forse molta parte della nostra vita è entrata direttamente all’interno della storia che stavamo raccontando, ci siamo trovati tutti uniti e solidali senza rivalità e competizioni e si sa che questo stato di grazia non è affatto scontato quando si gira un film che vede in scena tanti attori. Un giorno quando abbiamo girato la scena del pranzo di famiglia, mi sono sorpreso a percepire davvero tutti i compagni di lavoro che avevo davanti a me come se fossero davvero i miei familiari. Guardavo Giampaolo Morelli e pensavo che lui non avrebbe potuto essere altro che mio cognato. Quando a un certo punto della lavorazione sono venuti a trovarci ad Ischia i nostri veri familiari hanno rappresentato per noi una sorta di specchio, hanno percepito un’unione e un legame tra noi che non era solo professionale ma anche personale: il fattore umano delle persone che lavorano ad un progetto comune conta sempre moltissimo e ogni tanto deborda come è avvenuto questa volta. Credo che Gabriele sia riuscito a dar vita ad un film con un respiro diverso e insolito, grazie al suo desiderio di raccontare senza paura le emozioni e un certo tipo di italianità e per permettersi di girare un film così difficile e inconsueto nel cinema italiano di oggi.
Quello che mi sono portato dietro da un punto di vista professionale è stata la piacevole scoperta di persone di formazione, estrazione e generazioni diverse che si muovevano e sentivano all’unisono parlando una lingua insperatamente comune e la sensazione di aver contribuito a realizzare, con la collaborazione preziosa di tutti, qualcosa in cui lo spettatore possa riconoscersi profondamente. Per quello che riguarda poi la mia vita personale confesso che non è stato semplice andare via dall’isola, eravamo tutti emozionati e commossi come una vera famiglia che si stava separando ma sapevamo che comunque avremmo continuato a sentirci e vederci e che saremmo stati tutti legati per sempre.
Il film è stato interamente girato nell’isola d’Ischia. Come ti sei trovato?
E’ stato veramente un privilegio lavorare in un posto così bello. Ringrazio tutti gli ischitani per come ci hanno accolto e per averci fatto sentire parte di loro, senza mai essere invadenti o chiusi nei nostri riguardi.
Pierfrancesco Favino in conferenza stampa
Photocall: Giuseppe Andidero
Foto di Scena: Andrea Maddaluno