Nelle sale cinematografiche a partire dal 27 Febbraio 2025, Amichemai è il lungometraggio che, “liberamente tratto da tante storie vere”, segna il ritorno alla regia di un titolo destinato al grande schermo per Maurizio Nichetti, ad oltre vent’anni da Honolulu Baby, datato 2001.
Lungometraggio che, scritto dal regista stesso insieme a Cristiana Mainardi e Angela Finocchiaro, vede quest’ultima nei panni della veterinaria Anna, la quale si trova a ricoprire contemporaneamente i ruoli di moglie, madre, nonna e figlia in quanto il marito lavora da qualche anno in Bulgaria bloccato dalla pandemia dovuta al Covid-19… fino al giorno in cui, deceduto il padre infermo Gino alias Vittorio Grezzi, coglie l’occasione per potersi finalmente sbarazzare della badante dell’uomo, Aysè, con la quale non è mai riuscita ad andare d’accordo.
La Aysè che, incarnata dallaozpetekiana Serra Yilmaz, ricevuto in eredità il vecchio letto del defunto viene riaccompagnata a bordo di un pickup verso la Turchia, suo paese di origine, proprio da Anna, che potrebbe effettuare una piccola deviazione di percorso per rivedere il consorte.
Ed è dunque una commedia on the road quella che prende progressivamente forma una volta che abbiamo fatto conoscenza con le due protagoniste, il cui rapporto cambia man mano che percorrono i millecinquecento chilometri attraverso l’Europa.
Una commedia on the road delle più classiche, con tanto di immancabili incontri strada facendo, ma che l’autore di Ho fatto splash e Volere volare provvede a rendere diversa dal solito e a collocarla nel sempre più “connesso” terzo millennio generando una sorta di film nel film con l’introduzione di due content creator che ne seguono la lavorazione.
Amichemai apre infatti a suon di riprese verticali eseguite tramite telefono cellulare dalle due ragazze in questione, ovvero Gelsomina Pascucci e Pia Paoletti, le quali si ripresentano poi appunto durante la narrazione come a voler fornire una sorta di dietro le quinte – con incluso sguardo agli storyboard – incorporato direttamente nell’opera.
Uno stratagemma attraverso cui il cineasta milanese testimonia senza alcun dubbio la sua consueta maniera di risultare originale e sempre al passo con i linguaggi in fotogrammi che mutano nel tempo; come pure quando decide di affrontare la tematica del surriscaldamento globale strizzando con fantasia l’occhio ai disaster movie e rispecchiando, al contempo, la natura di film green della circa ora e mezza di visione, girata nel rispetto dell’ambiente.
Eppure l’impressione è che le idee alla base del tutto non siano poi così tante, perché, una volta tolti questi apprezzabili e curiosi aspetti metacinematografici, ciò che rimane altro non appare che in qualità di garbata favola moderna senza infamia e senza lode.