Da quel lontano 1974 in cui fece la sua prima apparizione sul grande schermo ne è passata di acqua sotto ai ponti, con tre sequel concepiti tra gli anni Ottanta e Novanta, un remake e relativo prequel messi in piedi a XXI secolo appena avviato, una diretta continuazione del capostipite girata in 3D, l’antefatto Leatherface e un reboot targato Netflix… ma ora, in occasione del suo cinquantenario, Non aprite quella porta torna nelle sale cinematografiche dello stivale tricolore – in versione originale sottotitolata in italiano – nei giorni 23, 24 e 25 Settembre 2024.
L’occasione imperdibile per poter visionare l’esordio del Tobe Hooper in seguito autore, tra gli altri, de Il tunnel dell’orrore e Poltergeist – Demoniache presenze in un’edizione 4K OV della director’s cut, risultato di un pregiato lavoro di restauro supervisionato dal compianto regista stesso.
Un pregiato lavoro di restauro che offre l’opportunità di scovare dettagli fino ad oggi magari passati inosservati e di cogliere nuove sfumature della vicenda introdotta da una didascalia atta a metterci al corrente del fatto che ciò che stiamo per vedere è tratto da un fatto realmente accaduto nell’Agosto del 1973 e divenuto noto come “Massacro del Texas” (non a caso, il titolo originale della pellicola è “The Texas chainsaw massacre”).
Uno stratagemma narrativo geniale che è stato non poche volte sfruttato, poi, nell’ambito della Settima arte, considerando che, in realtà, il soggetto di Non aprite quella porta sia del tutto inventato; ad eccezione del fatto che il contadino necrofilo e cannibale Ed Gein, già preso in considerazione da Alfred Hitchcock per delineare il Norman Bates del suo Psycho, pare abbia ispirato il Leatherface che, proprio come lui, fabbrica maschere di pelle e oggetti vari ricavandoli dai resti delle proprie vittime.
Il Leatherface conosciuto dalle nostre parti anche come Faccia di pelle e che, sorta di imponente ritardato qui incarnato da Gunnar Hansen, abbigliato da macellaio e armato di motosega usa fare a pezzi le proprie prede umane da servire in tavola come pietanze per la sua famiglia, costituita da altri due fratelli e da un malandatissimo nonno.
Il Leatherface che prende in questo caso di mira la giovane Sally interpretata da Marilyn Burns, suo fratello invalido Franklin alias Paul A. Partain e altri tre amici in viaggio a bordo di un furgone per andare in visita presso la tomba dei nonni; concretizzando uno sterminio che, a due anni di distanza da L’ultima casa a sinistra di Wes Craven e a sei da La notte dei morti viventi di George A. Romero, ha contribuito a dare il via al moderno cinema dell’orrore: sporco, cattivo e politicamente scafato, non più rappresentato da ghost story e vampire movie in costume immersi in avvolgenti atmosfere cupe e nebbiose.
Uno sterminio che, tra martellate in pieno cranio e ganci per la carne conficcati nella schiena, ha inoltre gettato semi che non hanno potuto fare a meno di influenzare il di lì a poco nato filone slasher, inaugurato nel periodo 1974-1978 da Black Christmas-Un Natale rosso sangue di Bob Clark e Halloween-La notte delle streghe di John Carpenter ed esploso definitivamente negli anni Ottanta grazie alla saga Venerdì 13.
Ma l’aspetto maggiormente interessante del capolavoro hooperiano è individuabile nella capacità di risultare tanto violento quanto disturbante senza ricorrere ad eccessi splatter… colpendo l’istituzione familiare e inscenando orrori che sembrano quasi essere una proiezione di quelli contemporanei della guerra del Vietnam.
Del resto, Quentin Tarantino (mica uno qualsiasi) ha definito Non aprite quella porta “Un film perfetto”. Come dargli torto?