Protagonista nel 2002 di quel 28 giorni dopo tramite cui Danny Boyle raccontò su grande schermo di un’Inghilterra in preda ad un virus fuoriuscito da un laboratorio di ricerca e destinato a trasformare i comuni mortali in autentici assassini, ricopre curiosamente soltanto il ruolo di produttore esecutivo l’attore Cillian Murphy in 28 anni dopo.
Tassello che apre con un assalto da parte di infetti mentre alcuni bambini stanno guardando in televisione Teletubbies… prima che si passi, appunto, a ventotto anni dopo e che facciamo conoscenza con i sopravvissuti abbandonati a loro stessi nella terraferma britannica.
Sopravvissuti comprendenti anche quelli che hanno creato una piccola comunità autonoma su una piccolissima isola vicina raggiungibile esclusivamente attraverso un passaggio percorribile a piedi con la bassa marea; tra i quali il dodicenne Spike e i genitori Jamie e Isla, ovvero Alfie Williams, Aaron Taylor-Johnson e Jodie Comer, quest’ultima affetta da una misteriosa malattia.
Perché, con il ragazzino che lascia insieme al padre l’isola per andare ad uccidere i contaminati rabbiosi sfruttando unicamente arco e frecce, è un film riguardante la famiglia e la maniera in cui si frantuma che intende essere 28 anni dopo al di là della sua superficie horror.
Un film che, con incluso nel cast Ralph Fiennes nei panni del dottor Kelson che asserisce, oltretutto, che la tintura di iodio protegge dal virus, rispetto alle due pellicole precedenti privilegia un’ambientazione ancor più apocalittica, quasi esclusivamente rurale.
Del resto, tra frecce che trafiggono corpi e colonne vertebrali in bella vista, non è certo il liquido rosso schizzante a risultare assente nelle quasi due ore di visione che, chiaramente influenzate dal periodo storico della pandemia dovuta al Covid-19, nelle idee del suo autore e del co-sceneggiatore Alex Garland affrontano per mezzo del genere l’argomento Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
Eppure, con l’azione discretamente distribuita e qualche accenno d’ironia (si pensi alla frecciatina alla chirurgia estetica quando Spike commenta la fotografia della ex fidanzata del soldato Erik alias Edvin Ryding), l’impressione, banale quanto volete, è che Boyle non possieda la capacità di sfruttare efficacemente le salme ambulanti in salsa di metafora socio-politica come seppe fare, invece, il compianto Maestro del cinema dei morti viventi George A. Romero.
Di conseguenza, sebbene non manchino momenti spettacolari come quello con il gas e un’impressionante situazione di parto, tempestato di infetti a tratti ridicoli nell’andarsene in giro completamente nudi 28 anni dopo lascia avvertire soltanto il sapore di un guardabile lungometraggio irrilevante per il filone zombesco e “alimentare” per Boyle… nella sola attesa dei due successivi episodi che, magari, contribuiranno a rivedere il giudizio su questo ideale prologo.