Nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 10 Aprile 2025, vede alla produzione esecutiva l’Ari Aster autore di Hereditary – Le radici del male, Midsommar – Il villaggio dei dannati e Beau ha paura la oltre ora e quaranta che costituisce Death of a unicorn, esordio alla regia per Alex Scharfman.
Animale che sembrerebbe corrispondere incredibilmente ad un unicorno e che, a quanto pare morente, caricano nel bagagliaio della quattroruote per proseguire il loro cammino verso la lussuosa abitazione di un ricco magnate farmaceutico dai connotati del veterano Richard E. Grant.
Magnate che, malato e costretto su una sedia a rotelle, convivente insieme alla moglie e all’inetto figlio, interpretati da Téa Leoni e Will Poulter, cerca di sfruttare le miracolose e insospettabili proprietà curative della creatura ferita che i suoi due ospiti cercavano di tenere nascosta nel veicolo.
Il tutto nel corso di una prima parte di Death of a unicorn che, pur non priva di spruzzate d’ironia, appare prolissa e verbosa girando continuamente a vuoto, tanto da non consentire allo spettatore di capire dove voglia andare a parare.
Da un lato, considerato il quadrupede cavallino fiabesco tirato in ballo, sorge immediatamente spontaneo pensare che ci si trovi dinanzi ad un fantasy, dall’altro, a fronte del lento sviluppo narrativo, pare d’intuire che l’operazione appartenga a qualcosa di diverso, forse una sorta di dramma thriller in aria di metafora ambientalista e anticapitalista.
Invece, inaspettatamente, una volta superata con pazienza una buona fetta di lungometraggio si sfocia in una situazione d’assedio tipica del cinema dell’orrore e tutt’altro che priva di splatter.
Perché, mentre ad assediare i protagonisti sono più di un unicorno, si sguazza allegramente in mezzo a teste schiacciate, corpi trafitti e perfino viscere in bella vista manco si trattasse di un truce b-movie.
Solo provvisti di questo spirito si esce divertiti dalla sala… in caso contrario è lecito e comprensibile che lo spettatore si chieda quale possa essere il senso di una tale sciocchezza in fotogrammi che non lascia ben intendere se desidera avanzare pretese autoriali o collocarsi semplicemente nel filone dell’horror d’intrattenimento usa e getta.