La tendenza Disney del terzo millennio di rileggere attraverso operazioni live action i più popolari classici d’animazione sfornati dalla major del caro vecchio Zio Walt prosegue con Biancaneve, che, nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 20 Marzo 2025, rispolvera con attori in carne e ossa, appunto, il lungometraggio Biancaneve e i sette nani.
Lungometraggio derivato nel lontano 1937 dalla popolare fiaba europea la cui versione attualmente conosciuta è quella scritta dai fratelli Jacob e Wilhelm Grimm in una prima edizione nel 1812, pubblicata nella raccolta Le fiabe del focolare.
Ed è l’attrice americana di origini colombiane Rachel Zegler ad incarnare la giovane suggerita dal titolo, figlia di un re che, rimasto vedovo, ha poi sposato una malvagia donna riuscita ad assumere presto il comando del regno.
Malvagia donna che, in questo caso in possesso delle fattezze della Gal Gadot del franchise Wonder Woman, come sappiamo non intende fare altro che sbarazzarsi della povera Biancaneve dal momento in cui il suo specchio magico le rivela che è quest’ultima la più bella del reame.
La Biancaneve che fugge dunque dal castello per essere poi accolta nella casetta dei nani Mammolo, Dotto, Cucciolo, Brontolo, Pisolo, Eolo e Gongolo, quotidianamente impegnati a scavare per cercare gioielli nelle vicine miniere.
Nani concepiti in CGI, come anche i vari animali tirati in ballo nella quasi ora e cinquanta di visione che, diretta dal Marc Webb regista della commedia romantica (500) giorni insieme e dei due The amazing Spider-man, si presenta dunque in qualità di film a tecnica mista.

Film che, adeguandosi come di consueto al politically correct della Hollywood odierna, oltre a proporci la protagonista dalla pelle tutt’altro che bianca cala nei panni del cacciatore l’attore britannico di colore Ansu Kabia, edulcorando poi anche la questione relativa al cuore del cerbiatto.
Mentre Andrew Burnap presta i propri connotati al Jonathan desideroso di sfidare la monarchia affiancato, tra gli altri, da Quigg il ribelle, maestro di balestra dal volto di George Appleby, nel corso di una rivisitazione non priva neppure di momenti che arrivano a sfiorare in maniera inaspettata l’horror; da quello con gli alberi che prendono vita alla fase conclusiva.
Rivisitazione che, visivamente impeccabile e caratterizzata da un buon ritmo narrativo, finisce soltanto per essere in parte penalizzata dalla scelta di abbracciare il look del musical concedendo un po’ troppo spazio alle situazioni cantate.