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    U.S. Palmese: i Manetti nel pallone

    Conclusa la trilogia cinecomic di Diabolik, Marco e Antonio Manetti – meglio conosciuti come Manetti Bros – tornano nelle sale cinematografiche dal 20 Marzo 2025 con U.S. Palmese, favola calcistica ambientata a Palmi, piccola cittadina della Calabria.
    Ma sorge immediatamente spontaneo un interrogativo: per quale motivo, a cominciare dall’agricoltore in pensione Don Vincenzo incarnato dal lucano Rocco Papaleo, cui balena la folle idea di cercare di risollevare la squadra di calcio locale organizzando una bizzarra raccolta fondi finalizzata ad ingaggiare l’arrogante e tutt’altro che simpatico giocatore di serie A Etienne Morville alias Blaise Afonso, ad incarnare personaggi calabresi sono stati convocati per lo più attori che non lo sono?
    Tolti Massimo Di Lorenzo, originario di Reggio Calabria, e il cosentino Max Mazzotta, che nei panni dell’allenatore Mimì Bagalà risulta il migliore del ricco cast, abbiamo nel mucchio il campano Gianfelice Imparato, la palermitana Giulia Maenza, la romana Claudia Gerini nella parte della grottesca poetessa Adele Ferraro e il livornese Guglielmo Favilla nel ruolo del Peppi ‘Mpiccia che, probabilmente, nell’epoca del grande cinema di genere italiano sarebbe stato di Jimmy il Fenomeno.
    Epoca che, all’inizio del terzo millennio, sembrava dover essere destinata a ripetersi – tra un Zora la vampira e un Song ‘e Napule – proprio grazie ai fratelli Manetti, i quali, dopo il trionfo ai David di Donatello del loro sopravvalutato Ammore e malavita, hanno finito invece palesemente per adattarsi al discutibilissimo sistema della produzione da schermo tricolore del XXI secolo, caratterizzato da storie che non vanno oltre la provincia del Bel paese e popolate sempre dalle stesse facce.
    Tanto che, nel mostrare il citato Morville che lascia Milano per trasferirsi a Palmi e provare a risanare la sua immagine scontrandosi con una realtà fatta di sincerità, confezionano senza alcun dubbio con U.S. Palmese la loro opera meno riuscita, inutile quanto le molte figure che tira in ballo.
    Ad eccezione proprio di Morville, sul quale potevano tranquillamente costruirsi in maniera esclusiva le due ore di visione – scritte dagli stessi Manetti insieme alla Luna Gualano e all’Emiliano Rubbi rispettivamente regista e co-sceneggiatore de La guerra del Tiburtino III – che si rivelano non poco stanche e fiacche già prima dell’arrivo alla loro metà.
    Due ore di visione che non faticano nel conferire di continuo l’impressione di girare a vuoto, tempestate da un’infinità di canzoni (e di autotune) che vorrebbero conferire un ritmo in realtà inesistente e intervallate occasionalmente da siparietti che dovrebbero far ridere apparendo, al contrario, soltanto idioti: dalla sequenza della signora anziana in fila a quella dell’incubo “luciferino”.
    E non parliamo degli inserti a cartoni animati che lasciano solo emergere un certo sapore amatoriale; se volevano rappresentare una strizzata d’occhio a Shaolin soccer di Stephen Chow, a tal proposito riuscì decisamente meglio nel 2005 Lorenzo Vignolo con la sua divertente commedia ceccheriniana Tutti all’attacco.