Leggi il titolo La città perduta e, nell’assistere ad un lungo prologo che passa velocemente dalla Cina del 1995 ad un presente in cui una giovane cinese si cimenta in mirabolanti momenti d’arti marziali, pensi di aver appena iniziato a vedere la nuova fatica registica di Zhang Yimou o l’ultimo derivato dell’indonesiano The raid – Redenzione di Gareth Evans… e invece si tratta del terzo lungometraggio diretto da Gabriele Mainetti, cineasta romano che ci aveva regalato il superhero movie in salsa “romanzo criminale” Lo chiamavano Jeeg robot e il proto-X-Men in epoca fascista Freaks out.
Il Gabriele Mainetti che, dunque, calando la Yaxi Liu che fu tra le controfigure del Mulan live action nei panni della misteriosa Mei alla ricerca della sorella scomparsa, sfoggia da subito un look altamente internazionale grazie in particolar modo alle sequenze di scontro corpo a corpo magistralmente girate.
Ma, come ci ha insegnato fin dal suo giustamente acclamato esordio dietro alla macchina da presa, pur concependo un prodotto in possesso di tutte le caratteristiche necessarie per poter essere venduto al di fuori dello stivale tricolore, riesce abilmente a fondere con queste ultime quelle utili a far mantenere all’operazione il fondamentale marchio italiano.
La romanità, precisamente, in quanto è nella Città eterna, nel rione Esqulino, che la citata Mia incrocia la propria strada con quella del giovane cuoco Marcello, che, interpretato da un bravo Enrico Borello, gestisce nella zona un ristorante insieme alla madre Lorella, ovvero Sabrina Ferilli, disperata da quando il marito Alfredo alias Luca Zingaretti ha abbandonato moglie e figlio per andarsene con un’altra donna.
Quindi, da un lato abbiamo la ragazza destinata ad avere a che fare con loschi individui dagli occhi a mandorla, dall’altra il protagonista che, sempre più coinvolto nella sua pericolosa situazione e deciso a supportarla, si ritrova tra i piedi anche la vecchia conoscenza e malavitoso locale Annibale, incarnato da un Marco Giallini da David di Donatello.

Tutti al servizio di oltre due ore e dieci di appassionante visione che, non prive di ironia, non consentono allo spettatore di chiudere occhio nell’alternare sapientemente i momenti d’azione alla costruzione del plot di stampo noir – scritto dal regista stesso insieme a Stefano Bises e Davide Serino – e del rapporto tra Marcello e Mei, i quali si concedono anche un giro in vespa tra i monumenti capitolini in probabile omaggio ai Gregory Peck e Audrey Hepburn di Vacanze romane di William Wyler.
D’altra parte, come nei due precedenti lavori mainettiani, non sono certo le influenze cinefile a risultare assenti ne La città proibita, che, nelle sale cinematografiche italiane dal 13 Marzo 2025, qualcuno potrebbe erroneamente intendere dal trailer in qualità di scimmiottamento italiota di Grosso guaio a Chinatown di John Carpenter, da cui differisce in primis a causa dell’assenza di elementi fantasy.
E, mentre la colonna sonora spazia da La canzone dell’amore perduto di Fabrizio De André a E se domani di Mina, passando per una rilettura orientale della Delilah di Tom Jones, se è vero che, come viene ribadito nel film, siamo in un paese dove tutto è permesso e niente è importante, questa terza prova di Mainetti ci spinge a credere ancora una volta quanto sia importante per la nazione il suo cinema e permettergli di continuare a farlo.