Considerando che al timone di regia di A complete unknown – nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 23 Gennaio 2025 – si trovi lo stesso James Mangold che si occupò nel 2005 di Quando l’amore brucia l’anima, biopic riguardante il cantautore statunitense Johnny Cash, ci si sarebbe aspettati che anche qui, ad incarnare quest’ultimo, avremmo trovato il Joaquin Phoenix che lo interpretò allora, anziché Boyd Holbrook.
Uno stratagemma che, magari complice un intervento in CGI per ringiovanire colui che ha prestato due volte i connotati al Joker di Todd Phillips, sulla falsariga di quanto già avvenuto nei cinecomic e nell’horror avrebbe simpaticamente contribuito, in un certo senso, a dare il via ad una sorta di universo condiviso nell’ambito delle biografie musicali in fotogrammi.
Perché, pur non incentrandosi direttamente su Cash, le circa due ore e venti di visione in questione lo tirano comunque spesso in ballo come amico (in primis di penna) del protagonista: un Bob Dylan (all’anagrafe Robert Allen Zimmerman) che il Timothée Chalamet di Wonka e Chiamami col tuo nome rende in maniera efficace anaffettivo come si è sempre mostrato nella realtà.
Un Bob Dylan che, se da un lato vive una storia sentimentale con la Sylvie Russo di Elle Fanning, personaggio immaginario ricavato dalla vera ex fidanzata del “menestrello” Suze Rotolo, dall’altro non manca di considerare come quadri appesi dal dentista le canzoni della collega Joan Baez alias Monica Barbaro.
La Joan Baez con cui, come è risaputo, oltre a condividere spesso il palco ha intrapreso un’autentica relazione e della quale, nel corso di A complete unknown, ascoltiamo tra le altre Farewell Angelina e una rilettura della tradizionale The house of the rising sun portata al successo dagli Animals.
Ed è dalle pagine del libro di Elijah Wald Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica che prende ispirazione l’insieme, il cui arco narrativo copre un periodo compreso tra il 1961 e il 1965, anno che regala una delle migliori sequenze del lungometraggio attraverso un’esibizione presso il Newport Folk Festival.
Stessa manifestazione dove già nel 1964 ascoltiamo The times they are-a changin’, che va ad infarcire ulteriormente nella ricca colonna sonora il comparto di immancabili hit dylaniane spazianti da Fixin’ to die a Like a rolling stone, passando per Blowin’ in the wind, Mr tambourine man e It’s all over now, Baby Blue.
Senza contare All I really want to do in duetto con la citata Baez e un accenno di Highway 61 revisited in un agglomerato sfoggiante comunque anche pezzi storici di altri artisti (si pensi solo a All day and all of the night dei Kinks).
Artisti tra i quali, stranamente, non vengono mai menzionati i Byrds, che non poche volte hanno eseguito brani di Dylan; man mano che Scoot McNairy ricopre il ruolo di un malandato Woody Guthrie e che Charlie Tahan e Bill Big Morganfield – figlio della leggenda Muddy Waters – vestono rispettivamente i panni di Al Kooper e dell’inventato Jesse Moffette.
A corredo di un ottimo cast che, comprendente anche Edward Norton nella parte del collaboratore di Dylan Pete Seeger e David Alan Basche in quella del produttore discografico John Hammond, si rivela insieme alla ricostruzione storico-scenografica il maggiore pregio di A complete unknown.
In quanto l’impressione è che, nel raccontare il passaggio dal folk alle sonorità elettriche per colui che ci avrebbe poi regalato anche Knockin’ on heaven’s door, il tutto tenda banalmente a ribadire di continuo la sua risaputa posizione contro il sistema anziché approfondire l’aspetto musicale come un biopic rientrante nel filone dovrebbe fare.
Di conseguenza, pur guardabile, il risultato non appare altro che in qualità assemblaggio di vari siparietti il cui ritmo generale, come già avvenuto nel sopra menzionato (e sopravvalutato) Quando l’amore brucia l’anima, non è davvero dei più incalzanti.