Reduce dalle co-regie condivise con Massimiliano Bruno nei due lungometraggi ad episodi I miglior giorni e I peggiori giorni, il romano Edoardo Leo torna a gestire da solo la macchina da presa per concretizzare Non sono quello che sono, nelle sale cinematografiche a partire dal 14 Novembre 2024.
Ed è lui stesso in versione invecchiata ad aprire le danze di un racconto per immagini che torna immediatamente a due decenni prima, precisamente nel 2001; suggerendo da subito che non siamo più sulla strada delle commedie e dei sentimenti che hanno scandito la sua filmografia da regista, da Diciotto anni dopo a Lasciarsi un giorno a Roma.
Qui infatti non vi è spazio per le battute volte a strappare risate e i romanticismi, in quanto ci troviamo dinanzi ad una moderna rilettura dell’Otello, tragedia scritta all’inizio del XVII secolo dal drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare.
Rilettura in cui Leo veste i panni di Iago, facente parte di un’organizzazione di poco di buono dediti al traffico di droga e che, vistosi negare una promozione da Otello, ovvero Jawad Moraquib, il quale gli ha preferito il giovane Michele interpretato da Matteo Olivetti, escogita un piano decisamente diabolico.
Piano che, aiutato dal Roderigo dal volto di Michael Schermi, lo spinge ad ingannare perfino la moglie Emilia incarnata da Antonia Truppo per far sì che il boss creda che Desdemona alias Ambrosia Caldarelli, che ha appena sposato, lo abbia tradito proprio con Michele.
All’insegna di una oltre ora e cinquanta di visione che, caratterizzata da un’ambientazione tutt’altro che estiva sul litorale romano di Nettuno, lascia intravedere una probabile, più o meno vaga influenza proveniente da Non essere cattivo di Claudio Caligari.
Del resto, con inclusi nel cast anche Stefano Ambrogi e il suburriano Alessandro Bernardini che prese parte proprio al bel film testamento dell’autore di Amore tossico, è chiaramente dalle parti dei vari “romanzi criminali” da schermo d’inizio terzo millennio che intende collocarsi Non sono quello che sono.
Il tutto, immerso nei toni decisamente cupi garantiti dalla fotografia di Marco Bassano, con l’intenzione di dimostrare come la matrice letteraria shakespeariana rispecchi tanti attuali fatti di cronaca tempestati di razzismo, violenza, invidia sociale, maschilismo e femminicidio.
Ma, se da un lato una fin troppo lenta narrazione non può fare altro che rendere piuttosto noioso lo svolgimento del plot, dall’altro una eccessivamente caricata recitazione dei versi originali abbondante in sussurrato di dialetto romanesco rischia in più di un’occasione di trascinare nel ridicolo la non poco ambiziosa operazione… che ci spinge oltretutto a chiederci quale tipologia di spettatore possa accattivarsi.