Aggiudicatosi il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes, arriva nelle sale cinematografiche italiane il 30 Ottobre 2024 – e in anteprima il 25 dello stesso mese – The substance, secondo lungometraggio diretto dalla parigina Coralie Fargeat, a sette anni dall’esordio Revenge.
Se in quel primo caso, infatti, con accentuate punte surreali avevamo una Matilda Lutz impegnata a vendicarsi in maniera giustamente spietata di una piccola combriccola di squallidi individui responsabili del suo stupro e della sua presunta morte, qui viene tirata in ballo Demi Moore nei panni di Elisabeth Sparkle, ex diva dello spettacolo che viene puntualmente estromessa dalle scene nel momento in cui comincia a manifestare i segni della vecchiaia.
Una Demi Moore che, licenziata dal produttore televisivo Harvey (con probabile riferimento a Weinstein) magistralmente incarnato dal mai disprezzabile Dennis Quaid, dimostra paradossalmente di essere ancora in grado di reggere il nudo integrale meglio di tante colleghe più giovani.
Man mano che, in parte sulla falsariga del mito di Dorian Gray, in parte con un occhio rivolto al dualismo tipico del dottor Jekyll e del suo alter ego Mister Hyde, in cerca di una nuova giovinezza che le consenta di non essere esclusa dalla luce dei riflettori per poi finire nel dimenticatoio si affida ad una sostanza in grado di generare il proprio doppio giovanile Sue, cui concede anima e, soprattutto, corpo la Margaret Qualley di C’era una volta… a Hollywood e Drive-away dolls.
E, tra primissimi piani, lente carrellate, momenti da spot tv e altri che sembrano in un certo senso strizzare l’occhio alla videoarte, supportata dalla splendida fotografia a cura di Benjamin Kracun la Fargeat sfoggia una regia piuttosto ispirata, rendendo The substance un’esperienza visivamente accattivante attraverso cui concretizzare un feroce attacco ai dettami dello star system e all’ossessione per l’estetica e la perfezione fisica quali requisiti obbligatori ai fini del conseguimento del successo.
Un feroce, intelligente e coinvolgente attacco che, senza comunque dimenticare divagazioni ironiche (si pensi alle esilaranti situazioni con il vicino di casa), con la sostanza suggerita dal titolo che si riferisce chiaramente sia a quella assunta dalla protagonista che all’essenza dell’essere umano si rifà di sicuro ai body horror di David Cronenberg, ma tirando in ballo anche mostruosità e raccapriccianti mutazioni del corpo che possono richiamare nella mente dell’appassionato cult e classici del calibro di Society – The horror di Brian Yuzna, La cosa di John Carpenter e perfino Basket case di Frank Henenlotter… in particolar modo nel violento epilogo trasudante inaspettatamente fiumi di liquido rosso degni di una Settima arte dell’orrore che sembra essere ormai sempre più lontana nell’era del fastidioso politically correct e di tante edulcorate ghost story indirizzate al pubblico degli under 14.