Con un titolo che fa riferimento al nome della protagonista e che spinge anche a pensare ad una delle principali strade della fascia settentrionale della capitale tricolore, Flaminia segna il debutto dietro alla macchina da presa per la comica e conduttrice televisiva Michela Giraud, che ne è oltretutto l’interprete principale.
Tutto, infatti, procede nell’attesa del giorno del fatidico “Sì”… ma il destino vuole che Ludovica, sorellastra autistica di Flaminia cui concede anima e corpo una convincente Rita Abela, irrompa improvvisamente nella quotidianità della famiglia dopo essere stata tenuta lontana in un’apposita struttura.
Un evento destinato da un lato a portare scompiglio nella preparazione del matrimonio, dall’altro a condurre le due sorelle – il cui papà è il Guido Maria di Antonello Fassari – a rivedere il loro rapporto, tra una gag all’interno di un negozio di abbigliamento e un’altra durante l’esibizione di una ragazzina che canta La notte vola di Lorella Cuccarini.
Ma, mentre Enzo Salvi viene coinvolto nel piccolo ruolo di un ristoratore e un bravo Fabrizio Colica veste i panni del dottor Marini, a cominciare dall’incidente su Lungotevere che apre l’operazione risulta decisamente difficile ridere durante la visione di Flaminia, che azzarda perfino una battuta autoironica di taglio metacinematografico nel momento in cui la Giraud dà della burina a se stessa.
A completare il noioso pasticcio è poi l’eccesso di carne al fuoco testimoniato dal patetico retrogusto drammatico – decisamente fuori luogo – atto ad annoverare i maltrattamenti nei confronti dei disabili e, nella sequenza in cui si tira in ballo l’abito da sposa, una frecciata al body shaming.