Se pensiamo che nel suo curriculum è inclusa anche la sceneggiatura dello zombie movie 28 giorni dopo, diretto nel 2002 da Danny Boyle, non rappresenta certo una novità per il britannico classe 1970 Alex Garland immergersi in desolati scenari dal respiro post-apocalittico.
Perché, nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 18 Aprile 2024, si svolge proprio in un’America sull’orlo del collasso attraverso terre deserte e città distrutte dall’esplosione di un’immaginaria guerra civile il suo Civil war, quarto lungometraggio che lo vede impegnato dietro alla macchina da presa dopo Ex machina, Annientamento e Men.
Combriccola costituita dai giornalisti Joel e Sammy, ovvero Wagner Moura e Stephen McKinley Henderson, dalla fotoreporter Lee, interpretata da Kristen Dunst, e dalla giovanissima fotografa Jessie, cui presta il volto la Cailee Spaeny di Priscilla.
Tutti coinvolti in una quasi ora e cinquanta di visione destinata a procedere tramite lenti ritmi di narrazione legandosi in maniera inevitabile – seppur attraverso una vicenda totalmente inventata – al nient’affatto che rassicurante panorama mondiale d’inizio terzo millennio, tempestato di conflitti bellici sparsi per il globo.
D’altra parte, considerando il forte clima pessimista che lo attraversa, risulta decisamente impossibile non associare Civil war all’attualità che ci circonda; tanto più che, sebbene non dimentichi immancabili concessioni al genere, Garland dimostra di riuscire sempre e comunque a mantenere l’operazione sul piano del realismo, relegando oltretutto l’alta spettacolarità per lo più alla fase pre-conclusiva.
Anche se l’impressione generale, alla fine dei giochi, è che, in verità non troppo coinvolgente, Civil war rimanga un esercizio piuttosto scontato e di cui, probabilmente, non si sentiva neppure il bisogno.