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Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile: una vita in (video)gioco

Sebbene il titolo Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile possa erroneamente spingere a pensare che il lungometraggio che sta scorrendo davanti ai nostri occhi sia la trasposizione in fotogrammi dell’omonima serie di videogiochi noti anche con la sigla GT, provvede una didascalia di apertura ad avvisarci che l’operazione in questione prende in realtà le mosse da una storia vera.
Nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 20 Settembre 2023, infatti, le quasi due ore e un quarto di visione calano l’Archie Madekwe di Midsommar – Il villaggio dei dannati nei panni dell’adolescente Jann Mardenborough, grande giocatore proprio del franchise videoludico in questione che, grazie alle abilità sviluppate durante quelle corse su piccolo schermo, finisce per diventare un vero asso del volante, vincendo una serie di competizioni della Nissan, del cui marketing fa parte il Danny Moore interpretato da Orlando Bloom.
A fargli da guida è il pilota in pensione Jack Salter alias David Harbour, mentre, se il fratello Coby possiede i connotati di Daniel Puig, i genitori manifestano quelli di Djimon Hounsou e della ex Spice girl Geri Halliwell.
Ovvero i personaggi principali di un insieme destinato ad individuare i suoi momenti migliori nelle sequenze d’incidente su quattro ruote, riuscendo a regalare qualche emozione – grazie anche al frenetico montaggio a cura di Austyn Daines, Eric Freidenberg e Colby Parker Jr. – esclusivamente durante l’attesa gara della 24 ore di Le Mans.

Da sinistra, Archie Madekwe e David Harbour in una scena del film

Perché, con la storica Paranoid dei Black Sabbath a fare da accompagnamento musicale in più di un’occasione, Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile si costruisce su una prima parte che non manca di lasciar avvertire una certa piattezza generale, per poi, però, rimanere piuttosto freddo e narrativamente fiacco anche quando comincia a trasportare lo spettatore nel vivo del mix di motori rombanti, pneumatici fumanti e piste da percorrere ad altissima velocità.
Aspetti che ci spingono tranquillamente a pensare si tratti per il sudafricano Neill Blomkamp – qui al timone di regia e autore di prodotti decisamente superiori quali District 9 e Elysium – di un semplice lavoro su commissione, oltretutto penalizzato in buona parte dalla fin troppo elementare sceneggiatura a firma di Jason Hall e Zach Baylin, piuttosto priva di mordente.

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