È bene precisare che, nonostante il titolo, The boogeyman – nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 1° Giugno 2023 – non ha nulla a che vedere con Boogeyman – L’uomo nero, diretto nel 2005 da Stephen Kay e generatore di due sequel.
Una oltre ora e mezza di visione al cui centro troviamo un terapista di successo che, interpretato da Chris Messina, non sembra riuscire a creare una connessione emotiva e psicologica con le figlie: una sedicenne dal volto di Sophie Thatcher e una di dieci anni, ovvero Vivien Lyra Blair, le quali si stanno ancora riprendendo dalla recente tragica scomparsa della madre. Un terapista che lavora da casa e che, dopo che un misterioso nuovo paziente incarnato da David Dastmalchian gli si presenta in quanto deciso a liberarsi del proprio dolore per la morte dei figli, non immagina si lasci alle spalle una malefica presenza che si annida nell’ombra, nutrendosi della sofferenza delle sue vittime.
Infatti, è quasi sempre in ombra che vediamo questa entità soprannaturale destinata a far vivere eventi terrificanti alle due giovani, la più piccola delle quali, tra l’altro, alle prese con la caduta di un dentino.
Aspetto, quest’ultimo, che non può fare a meno di richiamare alla memoria Al calare delle tenebre, firmato nel 2003 da Jonathan Liebesan e in cui, proprio come nel caso di The boogeyman, la mostruosità spaventa-bambini protagonista si manifestava soltanto al buio. Ma anche come nel caso di They – Incubi dal mondo delle ombre di Robert Harmon e Lights out – Terrore nel buio di David F. Sandberg, rispettivamente datati 2002 e 2016, che potrebbero comunque essere stati influenzati non dichiaratamente dalla breve storia kinghiana.
Detto questo, sebbene il lungometraggio di Savage, ambientato per la sua quasi totalità in interni, individui la propria parte maggiormente riuscita nella lotta che anticipa i titoli di coda accompagnati dalle note della Burnin’ love di Elvis Presley, tutto, compreso il look del baubau, manifesta un forte sapore di già visto.
Quindi, mentre a dominare è un’atmosfera fortemente cupa garantita dalla fotografia di Eli Born, non ci troviamo altro che dinanzi ad una tanto lenta quanto noiosa operazione che, infarcita di prevedibili e immancabili jump scare, si lascia apprezzare in maniera esclusiva per quanto riguarda la sua confezione tecnica.
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