Non poteva essere altro che una citazione letteraria da Hans Christian Andersen ad aprire La sirenetta di Rob Marshall, essendo il lungometraggio in questione la rivisitazione live action dell’omonimo classico d’animazione Disney vincitore di due premi Oscar che, diretto nel 1989 da Ron Clements e John Musker, prese le mosse proprio dalla popolare fiaba dello scrittore e poeta danese pubblicata per la prima volta nel 1837.
Quindi, con Javier Bardem calato nei panni di Re Tritone, il quale governa gli oceani dal suo regno sottomarino, ritroviamo la pinnata protagonista Ariel che, la più ribelle delle sue figlie dei Sette Mari, affascinata dal mondo in superficie finisce per salvare l’avventuroso principe Eric alias Jonah Hauer-King da una tempesta che ha portato alla distruzione il vascello su cui si trovava.
Una disobbedienza che fa andare su tutte le furie il genitore, contrario all’interazione con gli umani, considerati pericolosi, spingendo la giovane rampolla a stringere un patto con la sorella di lui, ovvero la malvagia strega del mare Ursula. Un patto che prevede la rinuncia a tutti i propri doni, compreso il canto della sirena, in cambio di due gambe e dell’occasione di esplorare quell’universo al di fuori delle acque; con la ripercussione che, se entro la fine del terzo giorno non riceverà il bacio del vero amore, lei apparterrà per l’eternità alla temutissima donna.
Donna che, interpretata da Melissa McCarthy, rappresentata come grassa e tutt’altro che piacevole, essendo una cattiva, non fa che riconfermare per l’ennesima volta tutta l’ipocrisia tipica della major di Zio Walt, che propone la sua sirenetta in carne e ossa con le fattezze dell’attrice di colore Halle Bailey (scelta che ha suscitato non poche polemiche) per mostrare come si possano abbattere i pregiudizi (tra l’altro il messaggio del film riguarda proprio questo); mentre, al contempo, a cominciare dalla stessa tutti i personaggi positivi delle oltre due ore e dieci di visione appaiono esteticamente bellissimi e perfetti, a qualsiasi etnia essi appartengono (si pensi solo alle già menzionate figlie dei Sette Mari).
Al di là di ciò, man mano che, tra bestiario marino parlante digitalmente animato in maniera eccellente e abbondanza di momenti cantati (con la storica In fondo al mar riletta da Mahmood inclusa nel mucchio), buona parte dello humour viene affidata al granchio Sebastian, La sirenetta appare gestito da Marshall – regista, tra l’altro, di Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare e Il ritorno di Mary Poppins – ricorrendo ad un discreto ritmo narrativo destinato a rivelarsi sempre più incalzante con l’avanzare dei fotogrammi.
Il tutto, in mezzo ad immancabili sequenze emozionanti da intrattenimento hollywoodiano ad alto budget (citiamo la situazione della nave in fiamme di cui sopra) e maestose immagini che, complice oltretutto la fase conclusiva proto-monster movie dal retrogusto inaspettatamente horror, rendono l’insieme uno spettacolo visivamente non poco accattivante e dal respiro epico nient’affatto rientrante tra i meno riusciti derivati dal vivo dei cartoon di matrice disneyana.
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