Prima ancora che le note della She sells sanctuary dei Cult accompagnino i titoli di testa, tirando immediatamente in ballo un incontro con un indemoniato è nel 1987 che si immerge L’esorcista del Papa, ambientato tra la Spagna e Roma.
Un Gabriele Amorth che, convinto oltretutto del fatto che morire in guerra sia eroico e sopravvivere ad essa complesso, vediamo indagare sulla terrificante possessione di un giovane, finendo per scoprire una secolare cospirazione che il Vaticano ha cercato disperatamente di tenere nascosta.
Giovane le cui fattezze da indemoniato si rivelano efficaci ai fini del racconto horror per immagini, ovviamente comprendente tutto il campionario tipico del filone che individua il suo insuperabile classico ne L’esorcista di William Friedkin.
Quindi, mentre il nostro Franco Nero veste nientemeno che il bianco abito di Sua Santità e il protagonista non manca di rivivere flashback relativi al suo passato di lotta contro i fascisti, abbiamo consueti ghigni inquietanti e corpi pronti a contorcersi, più una spruzzata di liquido rosso quando necessaria.
Ma, in maniera evidente, L’esorcista del Papa non mira affatto ad ancorarsi fedelmente ai fatti reali per poter terrorizzare lo spettatore in modo che non chiuda poi occhio la notte, bensì li adatta all’intrattenimento da grande schermo rivolto in maniera principale al pubblico dei giovani amanti, con ogni probabilità, dei cinecomic a base di supereroi (ricordiamo che il regista ha firmato anche lo stalloniano Samaritan).
E bisogna dire che, con una perennemente cupa atmosfera condita di fulmini ed effettistica digitale e un Amorth molto più vicino al John Constantine di Keanu Reeves che al Merrin di Max von Sydow, il movimento la fa da padrone e, grazie al mestiere di Avery, si riesce sempre ad evitare facili cadute nel ridicolo.
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