Prima ancora dei titoli di testa dal sapore bondiano commentati dall’inedito Se mi vuoi di Diodato, il quale compare anche direttamente in scena per cantarlo, è un prologo con furto di preziosa corona ad aprire Diabolik – Ginko all’attacco!, dedicato al compianto sceneggiatore Michelangelo La Neve e in arrivo nei cinema il 17 Novembre 2022.
Cinecomic attraverso cui, appunto, i registi di Zora la vampira e Ammore e malavita hanno provveduto a portare sul grande schermo – cinquantatré anni dopo la trasposizione a firma di Mario Bava – l’antieroe creato nel 1962 dalle sorelle Angela e Luciana Giussani.
Antieroe che torna all’opera in questa seconda avventura ispirata direttamente all’albo che le presta il titolo e che, tradita la Eva Kant nuovamente incarnata da Miriam Leone durante un colpo che si rivela una trappola organizzata dall’ispettore Ginko, se la ritrova vendicativamente contro, alleata proprio con l’uomo di legge dal volto di Valerio Mastandrea.
Un Valerio Mastandrea i cui duetti con la nuova arrivata Monica Bellucci nel ruolo di Altea, duchessa di Vallenberg, però, non possono fare a meno di risultare ridicoli; come decisamente poco convincente appare, tra l’altro, quasi tutto il comparto recitativo del film. Compreso Gianniotti, nonostante si riveli maggiormente somigliante al ladro mascherato dei fumetti rispetto al suo sopra menzionato predecessore.
Ladro mascherato nelle cui mire, come è prevedibile, finisce ciò che di valore possiede la duchessa, la quale porta avanti una storia sentimentale segreta con Ginko; man mano che Urbano Barberini fa il suo ritorno in qualità di ministro della giustizia e che Linda Caridi e Alessio Lapice si aggiungono al cast in divise da poliziotti.
E bisogna dire che, sebbene le evidenti inflessioni dialettali sfoggiate da diversi personaggi – con tanto di romagnolo Andrea Roncato in un cameo – siano anche stavolta del tutto fuori luogo, considerando che ci troviamo nell’immaginario e nient’affatto italiano Stato di Clerville, Diabolik – Ginko all’attacco! presenta almeno un ritmo generale che non lo rende soporifero, a differenza del noiosissimo primo capitolo.
A giovare sarà anche la durata inferiore (lì eravamo sulle due ore e dieci minuti di visione, qui abbiamo circa un’ora e cinquanta), ma, in ogni caso, pur non eccellendo l’operazione coinvolge sufficientemente e si lascia guardare senza annoiare troppo.
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