Sulle note della blueseggiante Night time is the right time apre Don’t worry darling, secondo lungometraggio diretto dall’attrice newyorkese Olivia Wilde, tre anni dopo il debutto dietro la macchina da presa La rivincita delle sfigate, del 2019.
Vite praticamente perfette che, però, lasciano immediatamente intuire qualcosa di sinistro stia per accadere dal momento in cui, complice l’introduzione di visioni da incubo, la Wilde provvede a trascinare l’insieme in un sempre più crescente clima di follia e paranoia suggerente, in un certo senso, proprio echi provenienti dall’epoca cinematografica de L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel.
Sebbene siano soprattutto La fabbrica delle mogli di Bryan Forbes e Matrix dei fratelli Wachowski a tornare in mente nel corso di un thriller psicologico dai connotati fantascientifici tramite cui la regista intende fornire un interrogativo: sareste disposti a mandare all’aria tutto un sistema progettato per soddisfare ogni vostro bisogno?
Interrogativo che sfodera tirando in ballo, appunto, esistenze in cui chiunque ha tutto ciò che ha sempre voluto, dalle cose materiali o tangibili al vero amore. Quanto è disposta a perdere Alice per far emergere cosa sta realmente accadendo in quello che agli occhi di tutti sembrerebbe un paradiso?
Quindi, Don’t worry darling si presenta da un lato in qualità di sufficientemente coinvolgente film di tensione che, come già accennato, non può fare a meno di richiamare alla memoria altri precedenti modelli da schermo, dall’altro come non sempre condivisibile critica in fotogrammi nei confronti di quella cosiddetta “società patriarcale” che finisce, però, paradossalmente per conquistare anziché disgustare lo spettatore. Complici in particolar modo l’accattivante, colorata estetica resa con notevole cura e la ricca colonna sonora di splendide vecchie hit. Da Tears on my pillow a To know him his love to him, passando per Sh-Boom, You belong to me e The end of the world.
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