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Pleasure: i piaceri della Kappel

Il linguaggio sessualmente esplicito che ascoltiamo durante lo scorrimento dei titoli di testa di Pleasure, disponibile in esclusiva su MUBI a partire dal 17 Giugno 2022, già suggerisce il tenore dello spettacolo a cui stiamo per assistere.
Evoluzione dell’omonimo short diretto dalla svedese classe 1984 Ninja Thyberg, qui al suo primo lungometraggio, cala la esordiente Sofia Kappel nei convincenti panni (decisamente pochi, a dire la verità) di Bella, approdata a Los Angeles dalla Svezia con il sogno di diventare una superstar del porno.
Un’esile idea di partenza per condurre progressivamente in un universo in realtà tenuto in piedi attraverso regole dure e ferree con le quali la protagonista è inevitabilmente destinata a scontrarsi, venendo a conoscenza del lato più oscuro dell’industria.
Un universo al cui interno la macchina da presa della Thyberg porta lo spettatore tirando in ballo veri volti dell’hard internazionale, da Evelyn Claire a Xander Corvus, passando per Aiden Starr e Steve Holmes, in modo da ricrearlo nella maniera che possa apparire più realistica possibile.
Del resto, tra crudezza verbale e una fellatio praticata ad uno strap-on (dildo con imbracatura), non risparmia neppure immagini di membri eretti in bella vista e inquadrature ginecologiche; senza mostrare mai, però, l’atto della penetrazione, sebbene il sesso sempre più estremo con cui si trova a confrontarsi passo dopo passo Bella arrivi a triple intrusioni anali e violenze corporee.
Il tutto per sfoggiare da un lato, metaforicamente, una critica al sogno americano e al capitalismo, dall’altro una denuncia rivolta alla mercificazione della donna. Denuncia dallo sguardo femminista che, però, appare piuttosto ipocrita in quanto è evidente che nel film a lasciarsi mercificare siano le stesse figure femminili, che dicono di cimentarsi in tali attività per il piacere ma che, in verità, lasciano tranquillamente trasparire il loro obiettivo di fare soldi vendendo le proprie prestazioni da materasso davanti all’obiettivo della camera di ripresa.
Del resto, derivando il termine “Porno” dal sostantivo greco “Pórni”, il cui significato è “Prostituta”, decisamente inutili si rivelano, come sempre, i tentativi da parte del femminismo nel cercare di testimoniare che può esistere un filone hard dal punto di vista del cosiddetto gentil sesso, perché si tratta di un genere che è stato, è e sarà sempre e solo maschilista.
In fin dei conti, per quanto la Thyberg cerchi di fornire sguardi in soggettiva delle diverse interpreti, sempre e comunque in preda alla dominazione del maschio appaiono agli occhi dello spettatore.
Con la risultante che, tirato per le lunghe (siamo sull’ora e cinquanta di visione), Pleasure non riesca affatto a celare la propria natura di film furbetto e banale mirato a far gridare allo scandalo per ciò che immortala con disinvoltura; oltretutto piuttosto noioso e che non solo non racconta nulla di nuovo, ma, nel suo giustificare di continuo dietro a “Lo faccio per il mio piacere” gli atti anche dolorosi cui si concede la Kappel, non invita altro che ad alimentare il tanto eccitante quanto squallido mercato (maschilista, lo ribadiamo) che vuol far credere di attaccare. Un mercato la cui unica funzione è mostrare corpi come mamma li ha fatti ai soli fini onanistici… inutile stare a snocciolare spiegazioni sociologiche e pretese autoriali.

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