Anticipando un flashback ambientato nella Grecia di venticinque anni addietro, è nelle scenografie naturali della Costa Rica odierna che apre Morbius, il cui protagonista, ovvero il dottore suggerito dal titolo, si muove però, nelle strade di New York.
Antieroe in quanto, infetto da una rara e pericolosa malattia del sangue e, di conseguenza, determinato a salvare chiunque sia destinato a subire la sua stessa sorte, tentando la disperata scommessa di mescolare il DNA degli esseri umani con quello dei pipistrelli vampiro finisce per ritrovarsi trasformato in una creatura assetata di emoglobina.
Una sorta di discendente metropolitano di Dracula, dunque, che non lascia ben intendere, però, se sia schierato dalla parte del bene o del male; probabilmente perché la sua furia, un po’ come quella dell’imponente “collega di nuvolette” Hulk, non riesce ad essere controllata.
E all’ottimo Matt Smith, ex Doctor Who del piccolo schermo, spetta il ruolo dell’antagonista Milo, miglior amico di Michael Morbius, anch’egli trasformatosi mostruosamente e divenuto tutt’altro che rassicurante per chi lo incontra sulla propria strada.
Ma non si fatica molto nell’intuire che i due bravi attori – affiancati da Adria Arjona, Tyrese Gibson, Al Madrigal e Jared Harris – risultino sprecati quanto lo furono Robert De Niro e Al Pacino nel dimenticabilissimo thriller Sfida senza regole di John Avnet. Perché, dietro la macchina da presa, lo svedese Daniel Espinosa – autore, tra l’altro, dell’action movie Safe house – Nessuno è al sicuro e del simil-Alien Life: Non oltrepassare il limite – si limita ad inanellare una sequela di movimentate situazioni che, paradossalmente, anziché coinvolgere e divertire finiscono per stritolare nella morsa della fiacchezza la oltre ora e quaranta di visione.
Tanto che perfino l’atteso scontro conclusivo si rivela del tutto privo di enfasi, al culmine di uno spettacolo che non sembra discostarsi, in fin dei conti, da molti più o meno anonimi cinecomic di serie b degli anni Novanta (citiamo soltanto il Capitan America di Albert Pyun), con l’aggiunta di manifestare un plot fastidiosamente stritolato dal tripudio di fracassoni effetti audiovisivi.
Effetti che finiscono soltanto per azzerare qualsiasi emozione necessaria a Morbius, sfoderante ultime due sequenze a sorpresa durante i titoli di coda e a cui, considerato l’argomento trattato, avrebbe di sicuro giovato una spruzzata di splatter.
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