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Rifkyn’s Festival: l’autoriflessività del cinema secondo Woody Allen

Woody Allen oltre ad essere un’eccellenza nel campo cinematografico dal secolo scorso ad oggi, è anche il re della commedia cinematografica e anche questa volta con l’uscita del suo ultimo film Rifkin’s Festival non si smentisce affatto. La pellicola dello scorso 2020 è scritta e diretta dallo stesso Woody Allen ed ha un cast composto da nuove leve e da star già consolidate: Elena Anaya, Louis Garrel, Gina Gershon, Sergi Lopez, Wallace Shawn e Christoph Waltz. Rifkyn’s Festival, come afferma anche lo stesso titolo, racconta la storia di un Festival di cinema ambientato in Spagna, nella cittadina marittima di San Sebastiàn, all’interno del quale le vicende sentimentali e matrimoniali di Sue e Mort, una coppia di coniugi di mezza età entrambi amanti del cinema, subiranno profondi ed intensi cambiamenti.
Il film di Woody Allen ha la durata temporale di 10 giorni nei quali si svolge il Festival del Cinema, ecco quindi che in 95 minuti di pellicola si condensano i 10 giorni sullo schermo. La vita reale qui arriva a coincidere con quella cinematografica del festival e le due realtà si specchiano fino ad incrociarsi in un gioco di riflessioni ed equivoci che lascerà a bocca aperta lo spettatore. Prima di essere una storia a metà tra cinema e realtà, Rifkin’s Festival è un film che pone al centro il tema dell’auto riflessività stessa del cinema: il mezzo audiovisivo è lo strumento che oltre a riflettere su sé stesso, pone domande esistenziali sui temi più caldi al genere umano.
Mort, il protagonista, uomo di mezza età, professore di cinema, scrittore e appassionato cinefilo da l’avvio al film proprio con il suo sguardo in macchina chiedendosi durante una seduta di psicoterapia: “Chi sono io nel mondo?” In fondo in Woody Allen il cinema è un po’ come la psicoterapia: si vedono film per cercare di auto risolversi, per sollevare il proprio animo dalle pene della vita e per cercare di dare una risposta alla fatidica domanda sulla propria identità rispetto al mondo in cui viviamo.
Rifkin’s festival è colmo di citazioni provenienti dal mondo del cinema stesso, sono presenti intere clip riprese dai grandi classici francesi della Nouvelle Vague di Godard e Truffaut e poi rifatte in modo comico alla Woody Allen con gli attori del film. Questo è un meccanismo che il regista usa per porre in una nuova prospettiva il pensiero cinematografico intellettuale del cinema del secolo scorso: attraverso l’uso del genere commedia Allen abbassa il cinema intellettuale ad un livello accessibile a tutti perché in fondo il cinema deve stare a fianco dello spettatore. L’intellettualità di un cinema snob creato solamente per i professionisti del mestiere, alla lunga sembra allontanarsi sempre di più dalla quotidianità e dal pubblico. Il messaggio che Woody Allen vuole mandare è infatti proprio quello di svecchiare il cinema stesso, che si deve liberare oggi di pregiudizi sociali, culturali e politici per compiere l’unico effettivo compito di fare arte, di produrre creazioni che facciano pensare, riflettere e stimolare l’animo umano.
Altro tema importante del film è sicuramente quello legato ai rapporti umani e al contatto con l’altro. In fondo cos’è davvero importante nella vita se non si ha qualcuno con cui condividere le proprie passioni, le proprie gioie e i propri tormenti? In questo Mort è un protagonista indiscutibile perché è sempre alla ricerca di sentimenti reali e spinto dalla curiosità vaga per la città spagnola alla ricerca di una verità che gli faccia aprire gli occhi. La verità la trova nella dottoressa Jo che gli farà ritrovare la gioia di vivere e grazie a lei avrà anche il coraggio di guardare in faccia la sua vita.
A livello tecnico, punti chiave sono sicuramente: la sceneggiatura, da sempre protagonista in tutti i film di Allen, detta anche qui le regole con un mix di sali e scendi continui che incuriosiscono lo spettatore. Quello di Mort è un viaggio dentro sé stesso e il festival del cinema sarà lo specchio della sua psiche e del suo io interiore, come nei migliori road movie, qui Mort si muoverà tra una proiezione stampa, un evento mondano e la sua vita al di fuori del festival dettata dall’ipocondria e dalla ricerca di verità. La dinamica del personaggio di Mort cambierà molto, facendo una grande passo avanti, quello verso la consapevolezza del proprio io. Tutto questo chiaramente non ci sarebbe stato senza un ottimo copione e una sceneggiatura che ritrae una commedia impeccabile.
I dialoghi brillanti e la voce narrante inoltre sono le vere perle di questo film dove la parola è al centro di tutto, impossibile non notare l’uso della fotografia che pone la luce su un panorama che sembra ricordare molto quello del Festival di Cannes, col suo mare splendente e i tramonti incantevoli. Il montaggio inoltre è molto ben usato, attraverso l’uso del montaggio alternato le vicende di Sue e Mort, finiscono per unirsi tra loro in modo inequivocabile. Ancora un accenno al cast che va a completare il già brillante risultato di una commedia che pone al centro di tutto ancora una volta il ruolo chiave del cinema come motore di vita e di riflessione assoluta.
Rifkin’s Festival sarà in uscita il 6 maggio in tutte le sale.

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