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Edvard Munch: «L’arte nasce dalla sofferenza». Ma è davvero così?

La professoressa Kathryn Graddy, docente di economia presso la Brandeis University del Massachusetts, nella sua ricerca “Death, Bereavement, and Creativity” (la morte, il lutto e la creatività), analizzando i dati di vendita all’asta e le acquisizione dei maggiori musei mondiali di circa 12.000 opere, realizzate tra il 1900 e il 1920, di 48 artisti di fama, sembrerebbe sfatare il mito dell’artista tormentato e creativo. Basandosi sui valori di mercato delle opere d’arte legate alla “sofferenza” dell’autore (realizzate in periodi angosciosi caratterizzati da episodi particolarmente negativi, come un grave lutto famigliare o di una persona cara), ha osservato che le stesse vengono vendute ad un prezzo relativamente più basso rispetto ad altre legate a periodi più distesi e sereni della vita dell’artista ed hanno anche minori probabilità di essere esposte al pubblico. Opere di artisti come: Edgar Degas, Edouard Manet, Claude Monet, Picasso, Jackson Pollock, Rothko e Joan Mirò, realizzate entro un anno dalla morte di una persona cara, hanno venduto in asta in media il 50% in meno.
«Questo non è un risultato triste», puntualizza la professoressa Graddy. «Questo è un risultato felice. Sarebbe terribile se si dovesse patire un lutto o una morte solo per essere più creativo e produttivo». Dunque senza dubbio ciò che crea un forte impatto emotivo fa scaturire la scintilla dell’ispirazione, ma non necessariamente deve essere la sofferenza.
Molti artisti hanno cominciato a dipingere in momenti di grande difficoltà non solo emotive ma anche fisiche, ad esempio Frida Kahlo, che ha sviluppato la sua creatività dopo un gravissimo incidente d’autobus ha lasciata con una colonna vertebrale spezzata. La sofferenza non è quindi necessaria per sostenere la creatività, ma è invece la creatività che allevia la sofferenza e aiuta a vivere una vita più felice.

Video – Il Museo Thyssen presenta le opere di Edvard Munch:

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