Tra le molteplici ingiustizie, le contraddizioni e gli scandali della politica italiana, molti cittadini sono costretti a subire, quotidianamente, anche le violenti prepotenze di gruppi organizzati di giovani ladri, prevalentemente ragazze, che in maniera meticolosa, sistematica e recidiva operano nelle stazioni della metropolitana di Roma per portare a casa, a fine giornata, un cospicuo bottino di portafogli e telefonini rubati ai passeggeri. A volte queste ragazze vengono arrestate ma poi rilasciate immediatamente e riaccompagnate nelle rispettive residenze.
E pensare che il Comune di Roma, solo nello scorso anno, ha speso più di 3 milioni di euro per i «progetti di scolarizzazione» a loro favore, ma i bus riservati che raggiungono anche le parti più periferiche della Capitale sono quasi sempre vuoti.
“Nulla di nuovo”, direbbero molto lettori abituati a vedere tutti i giorni, con i propri occhi, scene del genere, oltre alle numerosissime video testimonianze registrate con gli smartphone o dalle telecamere di sorveglianza. Persino molti addetti alla vigilanza in servizio in queste stazioni evidenziano la propria rassegnazione di fronte ai numerosissimi e incessanti episodi di un tale malcostume.
E’ un diritto sacrosanto denunciare gli atti di criminalità compiuti da qualsiasi cittadino, da quelli gravi o meno rilevanti: l’omicidio, la frode fiscale, l’associazione mafiosa, ma anche i semplici e comuni scippi.
Fino a che si parla di quattro portafogli, nulla di grave o preoccupante, ma se i furti vengono commessi ai danni di centinaia di cittadini al giorno, tra lavoratori e turisti, commessi in maniera sistematica e recidiva (come evidenziato dai commissariati di Polizia e stazioni dei Carabinieri) da parte quasi sempre delle stesse ben note bande organizzate, allora tali reati iniziano ad avere un peso rilevante per la sicurezza (oltre che della pazienza) degli onesti cittadini.
Queste note categorie “protette”, per le quali lo Stato e i comuni sborsano cifre non indifferenti a loro favore, non possono giustificare certi atti di criminalità quotidiana con la scusante della povertà, o presunta tale, oppure dell’emarginazione e del razzismo. A tale proposito andrebbe ricordato che in Italia vivono molti immigrati stranieri i quali, nonostante la presente piaga del razzismo, sono comunque riusciti ad integrarsi e a lavorare onestamente. Come mai la stessa cosa non possiamo riscontrarla anche in quelle categorie protette (tra l’altro sono persone nate in Italia, anche se di etnia diversa) alle quali appartengono la maggioranza delle ragazze viste rubare sotto la metropolitana?
Ultimamente il peso di una sorta di “dittatura latente”, sempre più pressante da parte delle più alte istituzioni, sembrerebbe inibire la legittima denuncia e lo sdegno dei comuni cittatini qualora i suddetti reati siano commessi da persone originarie di particolari e note etnie “protette”. E qui entrano in gioco le aggressioni morali di tanti buonisti fanatici che pur di difendere certe categorie cosiddette deboli, fingono di ignorare il problema dell’illegalità, accusando di razzismo, con patetica insistenza e ossessione, tutti coloro i quali certe illegalità le riconoscono e le subiscono a tutti gli effetti.
Esistono inoltre varie associazioni costituite per tutelare i diritti di queste minoranze, ma spesso, alcune di esse, si dimenticano dei doveri. Un ente in particolare, arricchisce le proprie casse con alcuni dei risarcimenti di numerose denuncie per istigazione al razzismo verso organi di stampa che avrebbero solamente adempito al comune diritto di cronaca. La cosa singolare sta nel fatto che il titolare dell’associazione in questione vanta una pesante condanna penale per appropriazione indebita e falso ideologico!