Nessuno di noi vorrebbe essere geloso, e spesso quando sa di esserlo tende a non ammetterlo. Il sentirsi dubbiosi e tormentati da ansietà, giustificata o meno, nei confronti della persona amata, temendo che questa gli possa essere insidiata da un rivale, rappresenta indubbiamente un comportamento tipico dell’essere umano.
Nel passato anche diversi scrittore e poeti amavano argomentare questo stato emotivo nello loro opere. Nella commedia ”Una donna senza importanza”, di Oscar Wilde «Le donne brutte sono sempre gelose dei loro mariti. Le donne belle non ne hanno mai il tempo. Sono sempre così occupate a essere gelose dei mariti delle altre». Per il poeta francese Paul-Jean Toulet invece «la donna raramente ci perdona d’essere gelosi; ma non ci perdonerà mai di non esserlo».
Gli psicologi di oggi hanno suddiviso questo sentimento in tre tipologie: gelosia preventiva, reattiva e retrograda. In alcuni casi può degenerare in forme patologiche di un vero e proprio disturbo psichiatrico.
Molti considerano la gelosia come una sorta di difesa della coppia che si sarebbe sviluppata durante la selezione naturale degli esseri umani per arrivare ai giorni nostri.
L’origine di questo sentimento nasce dal tentativo di mantenere la coppia monogama unita per la procreazione. In pratica secondo la maggior parte delle teorie evolutive si tratterebbe di un sentimento innato.
Oggi le neuroscienze hanno individuato un’area specifica del cervello umano, nella corteccia prefrontale, in cui sono associate diverse funzioni cognitive, tra cui anche il meccanismo della gelosia.
Secondo alcuni recenti studi presso l’Università di Pisa, la gelosia patologica, quella che va oltre il comune senso della ragione, sarebbe dovuta ad alterazioni di livelli di serotonina, il neurotrasmettitore che permette alle cellule di dialogare tra di loro.