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Non ama il gossip e le cosiddette “copertine facili”, pur sapendo che al pubblico queste cose interessano molto, eppure Karin Proia, nei suoi 19 anni di carriera come attrice, di esperienze ne ha accumulata abbastanza, sicuramente più di altre colleghe che puntano principalmente alla notorietà anziché alla sostanza.
Ha lavorato anche all’estero, dove è stata diretta, tra gli altri, da Joseph Sargent, Dominique Othenin-Girard, Dennis Berry e accanto ad attori come Joe Mantegna, Emanuelle Seigner, Valeria Golino, Sergio Castellitto, Henry Cavill, Giancarlo Giannini, Burt Young, Armin Mueller-Stahl.
Nel 2012 è stata tra le protagoniste della fiction “Walter Chiari – Fino all’ultima risata”, regia di Enzo Monteleone, e del tv-movie “Area Paradiso”, regia di Diego Abatantuono e Armando Trivellini.
Alcuni inoltre se la ricordano anche come una delle protagoniste della fortunata e brillante serie TV “Boris”.
Attualmente è in onda su Canale 5 con le nuove puntate de “Le tre rose di Eva”, nel ruolo di Marzia Taviani, per la regia di Raffaele Mertes e Vincenzo Verdecchi.
Pochi sanno che Karin Proia ha sempre avuto come obiettivo primario quello di cimentarsi nella regia. «Io sono nata in un borgo della provincia di Latina, dove all’epoca c’era poco e niente. Soprattutto di arte ce n’era poca», confida l’attrice. «Anche i miei genitori non erano per nulla vicini al mondo dell’arte: mia madre era casalinga e mio padre impiegato. L’unico approccio che io potevo avere per avvicinarmi all’arte, oltre ai libri di scuola in cui potevo leggere le poesie, era con il televisore. Attraverso la TV infatti potevo vedere cose molto interessanti, come i documentari, di cui ero molto appassionata. Ogni tanto notavo qualche spot pubblicitario particolare, soprattutto quelli d’autore, in bianco e nero, e da lì ho iniziato a interessarmi di fotografia, o meglio fotografia in movimento. Un giorno mi sono incantata davanti a un film di Antonioni, “Professione: reporter”, con un piano sequenza meraviglioso, chiedendomi come era stato possibile realizzarlo senza aver mai fatto un taglio. Da qui è nata la mia passione per la regia».
Un assaggio delle potenzialità registiche di Karin Proia si possono apprezzare già nel suo primo cortometraggio, “Farfallina”, proiettato e premiato in diversi festival.
Qual è stata l’esperienza lavorativa che ti ha fatto capire di essere in un punto di svolta decisivo della tua carriera di attrice?
Ho iniziato a lavorare con una certa continuità grazie allo spettacolo teatrale con Michele Placido (“Uno sguardo dal ponte”, di Arthur Miller; regia di Teodoro Cassano, n.d.r.). Feci un provino per gioco e invece mi scelsero. Inizialmente mi spaventava la cosa, poiché da zero a debuttare insieme a Michele Placido, al Teatro Greco di Taormina davanti a 5000 persone, in un ruolo da protagonista… ero decisamente spaventata. Inoltre all’epoca i critici quando notavano qualcosa che secondo loro non andava bene, scrivevano duramente. Ma per fortuna quello spettacolo è stato molto amato dalla critica. Non a caso siamo andati avanti con le repliche per cinque anni.
Avere un marito collega per te è un vantaggio oppure no?
Io e mio marito (Raffaele Buranelli, n.d.r.) andiamo molto d’accordo; non esiste competizione. C’è molta comprensione reciproca. Recentemente abbiamo anche recitato insieme in uno spettacolo teatrale e mi sono divertita tantissimo anche perché, conoscendoci da molti anni, tra noi c’è molto affiatamento; ci capiamo al volo. Lavorare insieme inoltre ci abbrevia molto i tempi. Io credo di essere stata molto fortunata a trovarlo, spesso me lo dico, perché siamo due persone abbastanza complementari.
Al di là della crisi economica generale e della scarsità dei finanziamenti statali, cosa manca secondo te al cinema italiano per emergere?
Manca l’idea di industria. Il cinema infatti oltre ad essere una forma d’arte è anche un’industria e permette di guadagnare non solo a chi lo fa come attore ma anche a chi lo produce. In Italia invece c’è questo strano meccanismo che chi produce ha già guadagnato all’inizio per cui gli interessa fino ad un certo punto se il film andrà bene o no.
Qual è l’attore, più di altri, con cui vorresti lavorare?
Elio Germano. E’ bravissimo! Lo stimo tantissimo come attore.
E il regista?
Il primo in assoluto della lista è Baz Luhrmann, mentre tra gli italiani Matteo Garrone, Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore, Gabriele Salvatores…
La proposta di lavoro che avresti sempre voluto e che non hai ancora ricevuto?
Avere tanti soldi a disposizione dalla Paramount per realizzare il mio primo lungometraggio da autrice e regista.